Il dossier Comics&Jews
Aline, la conquista più difficile

Schermata 2019-02-07 alle 12.00.07Non si era mai preso l’impegno di lasciarci tranquilli, e al contrario la sua spietata impertinenza, in questi ultimi anni difficili della crisi identitaria che ci stringe, da un episodio all’altro, si era fatta sempre più difficile da sopportare con il sorriso sulle labbra. Arrivato all’ottavo volume, ormai al culmine di un’epopea che marcherà un segno indelebile nella storia del fumetto contemporaneo, Il gatto del rabbino di Joann Sfar osa ora il colpo d’artiglio più forte e affronta il tema più controverso e ossessivo fra i diversi nodi dell’identità ebraica contemporanea.
Le prime mosse, come immancabilmente avviene nel mondo del grande autore francese, vengono da una ragazza di grande fascino. E lo scenario che fa da contorno, i colori, i raggi di luce, i profumi, i sapori disegnati, riportano a quell’Algeria mille volte ripensata e riformulata dove continua a fluttuare il pensiero di molti ebrei nordafricani trasferitisi in Francia.
Ma il lettore è avvertito già dalla prima tavola: questa volta sarà necessario confrontarsi con qualcosa capace di rompere subito gli schemi e di disturbare le coscienze.
La ragazza è venuta per creare imbarazzi, per sollevare problemi: non ha niente da invidiare alla bellezza intensa delle donne locali, un ideale che pervade dichiaratamente tutta l’opera di Sfar, ma sembra piovuta dalla luna. È bionda. E non ragiona come le altre, perché non è ebrea.
Ce ne sarebbe già abbastanza per far intravvedere qualche guaio all’orizzonte. Ma non basta. Perché la protagonista non è solo un caso difficile, è anche una ragazza che vuole affrontare un processo di conversione.
Un processo di conversione all’ebraismo, un Ghiur, sappiamo tutti che è resta una strada praticabile, ma che è questione molto delicata. Come si fa a raccontarlo al larghissimo pubblico internazionale che l’autore si è conquistato? Come è possibile farlo entrare senza combinare guai irreparabili nel caldo flusso della vita degli ebrei di origine nordafricana, nelle argute contorsioni del gatto del rabbino? È possibile, l’ottavo libro della serie riesce egregiamente a dimostrarlo.
Non è un caso se il quotidiano parigino Le Figaro ha attribuito a Joann Sfar la qualità tutta felina di ricadere sempre sulle proprie zampe.
Così l’ottavo ritorno in scena del Gatto del rabbino, il volume si intitola “Petit panier aux amandes”, il cestino della mandorle, si impegna ad abbordare il gioco dell’amore, del caso e dell’identità religiosa. E la questione si fa complessa, molto complessa fino al punto da lanciare questa ottava uscita forse al vertice, al culmine di un insieme già considerato un passaggio fondamentale della creatività ebraica contemporanea.
Le strette relazioni fra la tradizione ebraica e l’amore coniugale prendono forma in un’Algeria inizio secolo più volta sognata e rievocata. Una coppia si presenta al rabbino. Lui è ebreo, lei no. Bellissima, apparentemente ingenua e idealista, Aline vuole comunque integrarsi nella comunità ebraica, convertirsi all’ebraismo e compiacere il suo promesso sposo.
È subito chiaro che il percorso sarà accidentato. Gli slanci dei sentimenti, i rimbalzi del desiderio e soprattutto le riflessioni a voce alta del Gatto che è capace di parlare, non consentiranno alcuna scorciatoia al volere di una ragazza che nel suo personaggio è incaricata di impersonare tutti gli schemi della non ebrea, attraente, affascinante quanto si vuole, ma irrimediabilmente estranea a un mondo complicato come quello che il rabbino cerca di rappresentare. Ma la ragazza tiene duro…
Ragazza? Alina nelle sembianze di giovane cattolica che si addentra nell’esplorazione di territori complicati richiama in realtà l’identità di altri viaggiatori della mente. Non è difficile leggere già all’inizio dove Sfar con il suo tratto e con la scelta dei colori vuole portarci. Alina non è solo una ragazza, è anche Il Piccolo principe ed è anche la sua rosa leggendaria. Perché una conversione, e in questo il racconto del grande narratore con la matita vale più di molte analisi di sociologia e di diritto ebraico, non è solo un processo di trasformazione come un altro, non è solo una banale ricerca di qualcosa. Ma è la conquista difficile di un nuovo stato che è possibile recuperare solo attraverso la capacità di far riemergere il linguaggio puro e diretto dell’infanzia. Sotto l’incanto di un racconto che parla alla componente infantile di bambini ormai corrotti dall’età adulta Sfar conduce la vicenda mettendo in gioco l’incontro-scontro con l’ebraismo, la fedeltà ai principi dogmatici, l’amore, il desiderio maschile in tutte le sue declinazioni freudiane.
Accompagnati dal gatto, in equilibrio perennemente instabile fra lacrime e riso, corteggiamento e inganno, filosofia e teosofia, Sfar riporta con questa ultima opera l’intera serie del Gatto del rabbino alla forza originaria. Lo fa con la sua evidentemente preparazione culturale e per la sua capacità di narratore senza pari. Ma riesce appieno solo grazie alle sue ben note capacità creative e artistiche.
Già dalla costruzione piramidale della tavola si passa dal gioco di sguardi dal Gatto del rabbino a Aline alla struttura del racconto disegnato che il lettore può percorrere secondo i canoni dell’esperienza artistica dal basso in alto e quindi di nuovo dall’alto in basso.
Apparentemente defilato nella sua ottava vicenda il gatto è in realtà perennemente all’ascolto. La sua discreta presenza non è mai indifferenza, non è mai distanza. Ma rappresenta quella capacità di ascolto e di giudizio che da millenni gli ebrei attribuiscono ai tribunali rabbinici e i pazienti degli psicanalisti attribuiscono a chi li tiene in cura.
La bella insonne del resto ha imboccato una strada difficile proprio per ascoltare delle verità scomode. E il gatto la accompagna con i soliti interrogativi. Perché mai voler abbracciare una fede così complicata, irrazionale e fastidiosa?
Con l’ottavo volume di questa serie ormai leggendaria Sfar va ben al di là della grande prova d’artista, un titolo ormai indiscusso e da lui conquistato sul campo grazie a un’incredibile vitalità creativa. Tocca i nodi dell’ebraismo contemporaneo e raggiunge il cuore di innumerevoli lettori, ebrei e non ebrei, con un messaggio vivo, nitido, complesso, ricco di umanità, di dolore e di speranza.
“Ho voluto – racconta oggi Sfar – tentare un racconto leggero per parlare di un tema scottante che in un modo o nell’altro tocca tutte le grandi religioni monoteiste. Quella della possibile conversione da una religione all’altra, che in molti casi finisce per lacerare i sentimenti e i legami familiari. Ho bisogno che ogni album cui metto mano sia differente dalle altre. Che possa regalarmi il senso della sfida. In questo caso il modello è stata la commedia leggera, con le sue porte che si aprono e di chiudono, con le sue gonne che volano all’aria. Volevo mettere in primo piano diversi personaggi femminili e per questo ho chiamato delle attrici, abbiamo utilizzato costumi anni ’20 e ’30. Abbiamo ricreato un’atmosfera prima che mi mettessi a disegnarla”.
Una lezione che va ben al di là dei contorni delle storie disegnate, ma che dovrebbe essere tenuta da conto da tutti coloro che in un modo o nell’altro si assumono la responsabilità di raccontare la complessità dell’ebraismo al grande pubblico. Se lo sanno i gatti dei rabbini, presto o tardi sarà tempo che lo impariamo anche noi.

Dossier Comics&Jews, Pagine Ebraiche febbraio 2019

(7 febbraio 2019)