Setirot – 100 punti di ebraicità
«Ce ne stavamo lì, Bruno sfogliava il Corriere della Sera, Lia con lo sguardo nel vuoto a girare il suo caffè, io a cincischiare sul telefono, dopo pranzo. “Io in fondo sono un’ebrea assimilata, non credi?” dico, rivolgendomi a mia sorella (non c’è da sperare nell’estemporaneità di un parere post prandiale di Bruno). Lei riscuotendosi con una scossa dall’incanto del gesto ipnotico, risponde: “Tu?!” e ride, tra la presa in giro e l’incredulità. E mi è venuta in mente quella barzelletta antisemita, del tizio ubriaco che incontra un ebreo e parlano dei propri reciproci affanni, l’ebreo per i suoi affari e l’ubriaco per i debiti e i tradimenti alla moglie e altre nefandezze che da sobrio non ammetterebbe mai. Alla fine l’ebreo, mettendogli un braccio intono alle spalle, dice “Siamo davvero sfortunati, oh, come siamo sfortunati!”. “Eh no!”, ribatte l’ubriaco, “noi non siamo uguali! A me domattina la sbronza mi sarà passata, mentre tu rimani ebreo!”».
Questo è il cinquantanovesimo dei 100 punti di ebraicità (secondo me) che Anna Segre ha pubblicato con l’editore Elliot. E direi che rende bene l’idea (la sua perlomeno). Un libriccino densissimo, da leggersi anche in ordine sparso perché per ogni punto è possibile una interpretazione diversa, come dice l’autrice, «a seconda del tipo di lettore, ma tutti dedicati a tutti». Chi sia Anna Segre immagino i lettori di Moked lo sappiano. In sintesi: è medico, psicoterapeuta, non solo halachicamente ebrea ma – come abbiamo letto e come ben sappiamo – fortissimamente tale nel suo essere…, omosessuale. Tanto che in contemporanea ai 100 punti di ebraicità (secondo me) è uscito 100 punti di lesbicità (secondo me). Dissacrante senza alcun dubbio, sicuramente in equilibrio instabile sulle etichette sociali. Non ricordo chi ha detto che la sua è «una identità apparentemente fragile, ma di fatto liquida, agile e inestirpabile»: concordo. Non a caso ha un porsi candidamente sincero, lo sostiene lei stessa parlando del proprio “mestiere” di analista: «Lo faccio anche quando lavoro. Per permettere all’altro di esistere, io gli faccio vedere che si può esistere. Per far vedere all’altro che si può ammettere, io ammetto».
Nella identità complessa, e ricchissima, di Anna Segre i due libriccini – esplicazione di sé, del suo mettersi a nudo – sono in qualche modo complementari. Come le identità, appunto, molteplici eppure immarcescibili. Per dire: nel primo punto sulla lesbicità ricorda la nonna ebrea che rileggeva gli stessi libri rigirandoli di volta in volta, come fanno gli ebrei con il testo sacro. Insomma, potremmo affermare la non appartenenza come identità. Orgogliosamente donna, lesbica, laica, non dogmatica, eppure indissolubilmente ebrea.
Stefano Jesurum, giornalista
(7 febbraio 2019)