Società – Quelle morti “invisibili” con cui non ci si confronta

Schermata 2019-02-07 alle 18.49.32La forma più estrema di povertà è quella di coloro che, non senza venature di romanticismo un po’ logoro, vengono pudicamente definiti clochard. Il 15 gennaio scorso il corpo di una persona senza dimora (PSD), morta per freddo, è stato rinvenuto a Roma nel Parco della Resistenza. Sempre nella capitale il 4 gennaio la stessa scoperta era stata registrata sulle sponde del Tevere e il giorno 8 a Ponte Sublicio. Ma il 13 gennaio il medesimo destino si è compiuto ad Ascoli Piceno, il 2 gennaio a Milano in via Castelfidardo e a Roma in Piazza Lorenzo Lotto; il fatto si ripetuto ancora a Roma il 29 novembre, mentre il 22 novembre sono morte a Milano, per freddo, altre due persone che vivevano in strada. Il giorno 11 gennaio, invece, il vicesindaco leghista di Trieste, nel corso di una sua personale performance mediatica, aveva sprezzantemente gettato in un cassonetto le coperte di una persona senza dimora (per una volta suscitando una ondata di sdegno in città), il 12 gennaio a Roma un vero blitz era stato organizzato fra la stazione Tiburtina e Porta San Lorenzo, per eliminare coperte e giacigli occasionali (senza provvedere ad alcuna misura di genere più costruttivo), mentre qualche tempo prima “dissuasori” metallici erano stati applicati alle panchine pubbliche della stessa zona della città per scoraggiare pernottamenti indesiderati. Da novembre 2018 ad oggi, solo a Roma, si contano nove persone senza dimora uccise dal freddo. Prendersi la briga di ricostruire simili frammenti di cronaca «minore » senza limitarsi agli ultimi due o tre mesi significa allungare indefinitamente l’elenco degli eventi di questo genere – di povertà assoluta da un lato e di indifferenza o di reazioni ottuse e disumane dall’altro – e magari includervi i molti casi di violenza estrema che colpiscono spesso le persone senza dimora, come quello di «Aldo», a dicembre assassinato a Palermo, un po’ forse per rapina e un po’ per passatempo, «Zico» a gennaio ucciso a Roma in Piazza Sannazzaro, «Nereo» investito qualche notte fa – in Corso d’Italia – da un automobilista che non si è fermato a soccorrerlo, e di altri ancora, cui qualcuno di notte ha dato fuoco, per «gioco», a Milano in Via Foscolo e a Torino in un giardino pubblico. Le persone senza dimora rinviano ad un archetipo oscuro, a un concentrato di negazioni di ciò che sembra essenziale – niente casa, niente lavoro, niente pulizia, niente relazioni, almeno apparentemente niente memoria, spesso niente patria e inevitabilmente (verso il mondo esterno) niente linguaggio – e dunque il modello stesso dell’alterità e dello sradicamento, che tipicamente si rinviene nei non-luoghi della città. Presenza nascosta e occultata in genere negli interstizi, come qualcosa di vergognoso che infastidisce ed offende nel suo solo mostrarsi, contraddizione intollerabile rispetto a tutto ciò che è «normale». La sociologia ne ha fatto fin dagli anni ’20 del secolo scorso un oggetto di indagine privilegiato, ma a quanto pare con scarsa capacità di incidere, come peraltro le capita a proposito di molti altri argomenti. Oggi, in tempi non facili, il tema è tutt’altro che superato. I dati di ricerca – raccolti in particolare dalla Fio.PSD (associazione da oltre trent’anni impegnata della difesa dei diritti delle persone senza dimora) e dalla Caritas, nel 2014 e 2018 – aiutano a ricostruire un’immagine solo parziale di un universo particolarmente difficile, che risulta spesso «invisibile» rispetto alle statistiche ufficiali. Gli indicatori utilizzabili – ad esempio il numero di persone che in un periodo dato utilizzano almeno un servizio di mensa o di accoglienza notturna – (e che nell’indagine 2014 risultava pari a 50.724 casi nel 158 comuni italiani in cui l’indagine era condotta) – tendono infatti a sottostimare il fenomeno e, paradossalmente, a non cogliere proprio i casi più estremi di esclusione assoluta, di quanti, cioè – anche per ragioni che un osservatore «esterno» non riesce sempre a comprendere – non si avvalgono di nessuno dei servizi di assistenza, li ignorano o li rifiutano. La stessa indagine indicava peraltro alcuni tratti relativamente stabili: su cento persone senza dimora, infatti, 85,7 risultavano essere uomini, 58,2 stranieri, 76,5 persone sole e 56 collocate nel Nord-Italia (38 nel nord-ovest, 18 nel nord-est). La ricerca 2018 (Caritas Italiana, Povertà in attesa, 2018), senza consentire inferenze sicure circa le dimensioni forse in crescita del problema, conferma sostanzialmente questo quadro, sia pure con qualche fluttuazione numerica. Utilizzando come indicatore il numero di richieste avanzate nei centri di ascolto Caritas, i casi di persone senza dimora risultano in proporzione più numerosi nel Nord del Paese (64%) che nel meridione (12,5%), indicando la Lombardia come la regione con la maggiore densità (33%), seguita dall’Emilia-Romagna e dal Lazio (in crescita dal 9.2 al 11.8%). È questo – come gli estensori del rapporto sottolineano – un dato in controtendenza rispetto alle rilevazioni sulla povertà assoluta e relativa, che raggiungono mediamente valori più elevati proprio nel Meridione: quella delle persone senza dimora costituisce evidentemente di un «tipo» di povertà in qualche modo diversa, che non si esaurisce nella dimensione economica ma suppone anche la rottura di ogni legame solidaristico e relazionale di tipo tradizionale e l’isolamento anomico più definitivo, che nei grandi contesti urbani si fanno più frequenti. Altri cambiamenti riguardano la quota di donne, in aumento e prossima ormai al 30%, e così pure quella delle persone di età più giovane. Un elemento significativo che la ricerca 2018 mette in evidenza è dato poi dalla cronicizzazione del fenomeno, nel senso che va aumentando il numero di persone che si rivolge alle mense o ai centri di accoglienza notturna da più di tre anni: come dire che, una volta precipitati nella condizione di PSD, riemergerne – almeno fino a un livello per così dire «accettabile» di povertà – è un obiettivo sempre meno praticabile, e forse addirittura pensabile. Una considerazione particolare riguarda poi la nazionalità. I non-italiani sono particolarmente numerosi fra le persone senza dimora. Costituivano il 58.2% dei casi nel 2014 e assommano al 67% nella rilevazione 2018, in maggioranza marocchini e rumeni, ma in quote crescenti anche nigeriani, tunisini e senegalesi. Più di 6 persone su dieci, denuncia la Fio.PSD, hanno problemi giudiziari legati al permesso di soggiorno. Ciò pone il problema dei senza dimora – già assolutamente drammatico per la coscienza civile del Paese e malamente affrontato dalle politiche pubbliche – anche in diretta relazione con molte delle misure previste dal cd. decreto Salvini, recentemente convertito in legge. Le limitazioni delle politiche di protezione umanitaria, l’inasprimento delle procedure relative ai richiedenti asilo ed il depotenziamento delle pratiche di accoglienza diffusa, che consentivano ai Comuni alcuni margini di manovra, costituiscono altrettanti elementi che, anziché immaginare soluzioni, sembrano inevitabilmente comportare il rischio molto concreto di approfondire il fossato: spingere ancora altre persone, magari nel nostro paese da molti anni, alla più drammatica e definitiva esclusione.

Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, febbraio 2019