Chiedere davvero
Dire che esiste una via ebraica all’insegnamento è fin troppo facile: rispetto degli allievi e delle loro opinioni, consapevolezza che un testo si può interpretare in molti modi, importanza delle domande più ancora che delle risposte, ecc. Tante cose che ci ripetiamo da secoli.
È possibile cercare le influenze dell’identità ebraica in altri aspetti, più burocratici e prosaici, della vita scolastica? Esiste, per esempio, una via ebraica alla preparazione di verifiche? O alla valutazione? O alla stesura dei programmi? Sembrano domande un po’ bizzarre (e probabilmente lo sono), eppure non credo che la risposta sia del tutto negativa. A volte mi capita di sentire, per esempio, una forte esigenza di chiarezza e di concretezza. Tendo istintivamente a diffidare degli obiettivi troppo altisonanti e fumosi: dal mio punto di vista i criteri di valutazione devono essere chiari, le verifiche non devono essere troppo difficili, i programmi non devono essere troppo vasti. Tutto ciò che si chiede dagli alunni deve essere effettivamente fattibile, anche a costo di abbassare il livello delle pretese. In questo mi viene in aiuto un concetto tipicamente ebraico: quello dell’”uscire d’obbligo”. L’idea, cioè, che a volte una cosa possa essere fatta anche in misura minima purché questa misura minima sia effettivamente raggiunta. Questo può valere per una verifica e per i criteri con cui la si corregge, ma soprattutto nella stesura dei programmi: non mi piace, per esempio, scrivere a settembre che si faranno tantissime cose e si studieranno tantissimi testi per poi dire invariabilmente a giugno, anno dopo anno: “peccato, non ho fatto in tempo!” Preferisco dichiarare fin dall’inizio che del tale o del tal altro autore si faranno solo una, tre, cinque poesie, insomma il minimo indispensabile per uscire d’obbligo. Non è vero che chiedere poco fin dall’inizio significa abbassare il livello, anzi, il livello si abbassa nell’ambiguità, nei programmi vasti e fumosi, nelle pretese impossibili che poi permetteranno inevitabilmente le deroghe. In fin dei conti, al di là di ciò che si studia o non si studia, si tratta di assumersi le proprie responsabilità per educare gli allievi a fare altrettanto.
Anna Segre