Dossier Comics&Jews
Berlino, storia e Memoria
In un periodo storico in cui nazionalismo e antisemitismo stanno rialzando la testa è finalmente arrivato in libreria il terzo e ultimo volume di un graphic novel capace di mostrare con chiarezza quanto velocemente la politica possa trasformarsi in veleno. Ci sono voluti più di vent’anni, ma con Berlin: City of Light, uscito lo scorso settembre e pubblicato in Italia già a fine ottobre da Coconino, l’americano Jason Lutes ha completato un trilogia destinata a lasciare il segno. Si configura come un romanzo storico, se è possibile definire romanzo storico un graphic novel. Due “prodotti” del tutto eterogenei, parrebbe, difficili da tenere insieme, eppure è difficile pensare a un’altra definizione per i tre volumi di Lutes. Se invece che graphic novel si utilizza poi il vecchio nome, “fumetto”, che ora parrebbe aver perso la sua dignità, l’associazione diventa ancora più stridente. Ma davanti ai tre volumi di Berlin, l’opera cui Jason Lutes ha dedicato più di vent’anni della sua vita, è difficile trovare un’altra definizione. Berlin: La città della luce viene ad aggiungersi a Berlin: La città delle pietre, del 2000 e Berlin: La città di fumo, uscito nel 2008, tutti e tre pubblicati in Italia da Coconino.
Un’idea nata nel 1996, quando a Jason Lutes capitò per le mani un libro di fotografie dedicato alla Berlino di Bertold Brecht, una città che negli anni Venti era popolata di una coorte di artisti e filosofi, architetti e scrittori, che si spostavano tra uno scatenato cabaret e i tanti caffè. Non era mai stato a Berlino, della città sapeva poco, ma questo non bastò a fermarlo, convinto come era di volersi dedicare a un graphic novel dedicato al periodo che comprendeva la fine della Repubblica di Weimar e la nascita del nazismo. Come Lutes ha recentemente raccontato al Guardian: “Pensavo di farne un lavoro di circa 600 pagine, diviso in tre volumi, e che avrei impiegato quattordici anni. Non male come progetto per un ventottenne che aveva pubblicato un solo smilzo fumetto…”. La previsione in effetti era sbagliata: ci sono voluti ventidue anni, non quattordici. E durante i primi quattro Lutes si è dedicato quasi esclusivamente alla ricerca iconografica, con una caparbietà che gli ha permesso di superare le tante difficoltà, inevitabili in un periodo in cui internet non poteva portare alla soluzione. Per di più non gli interessavano le immagini più note, il Reichstag o la porta di Brandeburgo, quelle più facili da trovare, voleva sapere che aspetto potevano avere gli oggetti quotidiani, i vicoli, tutto quello che non faceva pare dell’iconografia più diffusa. Ed era per di più una città che non conosceva, in cui ancora non era mai stato e per raccontare la quale ha scelto anche di evitare tutte le immagini scattate dopo il 1933, o i film, per quanto famosi, che avrebbero potuto portarlo fuori strada. La prima visita a Berlino, nel 2000, l’ha vissuta col terrore di dover buttare tutto quello che aveva già fatto. Ma così non è stato: il suo enorme lavoro di documentazione e ricerca gli aveva già permesso di creare quello che sarebbe diventato un affresco impressionante sia per la minuzia dell’analisi storica che per la ricostruzione iconografica, elementi che sostengono un intreccio complesso in cui una quarantina di personaggi si muovono tra storie private e vicende storiche, e portano i lettori a scoprire una città che è protagonista assoluta, tra contraddizioni e brillantezza culturale, tra eccessi e vuoti di potere in cui si insinuano quelle ombre che porteranno alla catastrofe. Il senso crescente di smarrimento, la crisi economica e culturale di una città che da sola rappresenta la storia europea e di quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Una città perduta, un continente che di pagina in pagina si sfalda, soffoca, si abbandona alle ombre. Fiction storica, romanzo a fumetti, graphic novel monumentale in cui si trovano la vita notturna e la vivacità culturale, il collasso economico e il crescente antisemitismo, mille elementi che si mescolano in un racconto drammatico che non dimentica l’arrivo del jazz o lo scontro tra comunisti e nazionalsocialisti. Tra i tanti protagonisti e le loro storie che si intrecciano due in particolare accompagnano il lettore nella scoperta di Berlino: una giovane studentessa di storia dell’arte, Marthe Muller, scopre la città non solo diventando pittrice ma anche grazie al suo legame con un maturo giornalista, Kurt Severing. I due esplorano le inquietudini dei luoghi e delle persone, intenti a ritrarre e intervistare i personaggi più vari, tratteggiando così delle storie nella storia, resoconti di giornate berlinesi dove disoccupati o manifestanti, funzionari o semplici passanti hanno comunque sempre qualcosa da aggiungere alla narrazione. La narrazione evita il simbolico fin dalle prime tavole e per tutto il corso della trilogia, in maniera conscia e consapevole: come spiega lo stesso autore la maggior parte dei lettori, se non la totalità, vedrà comunque il simbolo, anche quando non c’è. Nei fumetti c’è sempre dello spazio in cui il lettore deve proiettare il proprio pensiero, e mettere due tavole una accanto all’altra significa che comunque è necessario fare la connessione fra di esse, ma anche fra le parole e le immagini all’interno di ogni singola scena, e anche riempire gli spazi bianchi. E Lutes ha scelto di lasciarne molti, di spazi, in cui chi prende in mano Berlino potrebbe scegliere di inserire qualsiasi cosa. Ma è tutto talmente ben costruito che è spiazzante, tornando a sfogliare pagine già lette, rendersi conto che là dove c’era “ovviamente” una svastica lo spazio in realtà era vuoto, bianco. Ma tale è la complessità dell’affresco che i personaggi, le strade, le case, le storie narrate nei tre volumi vanno a comporre una sola grande vicenda in cui il minaccioso avanzare delle idee che porteranno al secondo conflitto mondiale è così pervasivo e continuo da procedere a piccoli passi, inesorabile.
Fino a quando davvero non c’è più scampo.
Pagine Ebraiche febbraio 2019, dossier Comics&Jews
(10 febbraio 2019)