I gilet dell’odio
Aggressione antisemita al filosofo francese Alain Finkielkraut, raggiunto ieri a Parigi da un nutrito gruppo di “gilet gialli”. Terrificanti le parole che gli sono state rivolte contro: da “Sporco ebreo” a “Il popolo ti punirà”.
Scrive il Corriere: “I gilet gialli che aggrediscono Finkielkraut, due dei quali indossano la kefiah palestinese, non gli perdonano il sostegno allo Stato di Israele e il fatto di avere osato denunciare in passato, alla radio, in tv e sui giornali, la deriva islamista e integralista di una parte dei musulmani di Francia, soprattutto nelle periferie. L’altra colpa del filosofo, secondo chi lo insulta, è di non essere un vero francese, di non fare parte del popolo francese, perché è ebreo”.
“Il movimento dei gilet gialli, che domani compirà tre mesi – sottolinea Repubblica – appare sempre più infiltrato da una frangia di estrema destra che vuole sdoganare in piazza l’odio antisemita. Durante il precedente corteo del movimento, sabato scorso, la scritta Juden, usata come marchio durante il nazismo, è apparsa su un negozio ebreo di bagel. Nei giorni scorsi un’opera di street art ispirata a Simone Veil, superstite dei campi di sterminio, madrina della legge sull’aborto e prima presidente donna del Parlamento europeo, è stata ricoperta da una svastica”.
Riflette al riguardo Maurizio Molinari, direttore de La Stampa: “La sovrapposizione fra esaltazione del ‘popolo’, insulti antisemiti, odio antisionista e promesse di espulsioni rappresenta quanto di più simile e contemporaneo può esserci alla dinamica con cui si innesca l’odio antiebraico nelle piazze, identificando nella casuale vittima di turno il male assoluto, da additare ed estirpare per il ‘bene delle masse’. È la stessa feroce dinamica con cui si originavano i pogrom in Russia al tempo degli zar, in Germania al tempo dei nazisti e nei Paesi arabi, da Baghdad a Tripoli, fra gli Anni Quaranta e Cinquanta”.
Rapporti tesi tra amministrazione statunitense e diversi paesi europei, Germania in testa. L’occasione della 55esima Conferenza di Monaco ha svelato infatti diversi problemi aperti. E uno dei temi di principale attrito, spiegano i quotidiani, sono state le relazioni con Teheran.
“Vogliono un altro Olocausto” ha detto il vicepresidente statunitense Mike Pence a proposito del regime iraniano e della sua volontà di “cancellare Israele dalla cartina geografica”. La cancelliera Merkel, scrive Repubblica, “gli ha già risposto qualche minuto prima, difendendo il tentativo di Germania, Francia e Regno Unito di mantenere vivo un residuo di intesa e un canale di comunicazione con Teheran”.
È l’israeliano Nadav Lapid, con il suo Synonymes, il vincitore della 69esima Berlinale. Protagonista del film è Yoav, “un sorprendente Tom Mercier, che alla fine del servizio militare decide di lasciarsi alle spalle un’identità troppo pesante e di diventare francese, usando come primo e più forte stratagemma l’abbandono della lingua materna” scrive Ada Treves su La Stampa. Una trama in parte autobiografica. “Quando ho finito il servizio militare – le racconta infatti Lapid – per un anno ho cercato di rientrare nella normalità, ma proprio in quella normalità è cresciuto il demone che mi ha convinto a scappare. Dovevo salvarmi. Come Yoav sono venuto a Parigi. Non avevo nulla, tranne il desiderio di smettere di essere israeliano e diventare francese”.
Il Fatto Quotidiano ci porta alla Siva, la fabbrica di Primo Levi che diventerà un museo. Nel centenario dalla nascita del grande intellettuale e Testimone, la memoria di quel luogo è affidato anche all’intervista con Levi realizzata da Philip Roth nel 1986 ricordata da Marco Belpoliti su Doppiozero: “La visita all’azienda chimica costituisce la prima parte del testo di Roth, un piccolo capolavoro di penetrazione psichica. Vi scopre un Levi che ha ancora la fabbrica nel suo cuore, un Levi che possiede il fiuto di un cane – l’odorato è una delle ragioni, ha scritto, che lo hanno spinto a diventare chimico – ma anche che ‘è concentrato e immobile come uno scoiattolo’ mentre ascolta i colleghi che gli parlano”.
Di Levi si parla anche su Robinson di Repubblica, attraverso il viaggio-testimonianza per i monti che lo videro protagonista della Resistenza dello scrittore Premio Strega Paolo Cognetti. “Primo – scrive – amava queste montagne: quassù assaggiò la ‘carne dell’orso’ col suo amico Sandro, che è ‘il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino’, quassù fece per tre mesi il partigiano e fu catturato in un rastrellamento, quassù continuò a tornare anche dopo il lager”.
Sul Fatto Quotidiano, Furio Colombo riflette sullo “strano Dio del sovranismo”. Lo fa anche partendo da un testo già approfondito per i suoi inquietanti risvolti: Kerigma, il Vangelo degli ultimi giorni di Cristiano Cerasani, assistente del ministro Lorenzo Fontana. Nel libro, presentato in Parlamento, si legge: “Il fatto che proprio il popolo eletto si sia ostinato a non voler accogliere la parola annunciata da Gesù Cristo – inviato nel mondo non per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui – lo ha reso vulnerabile agli attacchi del Maligno che (…) ha potuto imperversare, facendo strage di quel popolo”.
Scrive Colombo: “Dunque il diavolo (per vendicare Dio?), non Hitler e Mussolini, ha tentato di sterminare gli ebrei”. Per il giornalista la religiosità del sovranismo ha tra i suoi scopi quello di liberarsi della Shoah, “che ricorda troppo la caccia, la persecuzione strada per strada, casa per casa, degli immigrati”.
Ancora Colombo, in una intervista con l’Espresso, parla di “politica incattivita che esclude i più deboli” e di clima del Paese “che ricorda il Ventennio”. Il settimanale ospita anche un intervento di Sofia Ventura, che scrive: “Di fronte al razzismo contro i migranti o al genocidio di popoli si invoca spesso lo sterminio degli ebrei. Ma la Shoah è stata un’altra cosa”.
Sul domenicale del Sole 24 Ore si racconta il viaggio in Polonia del progetto ProMemoria Auschwitz, che ha coinvolto oltre 800 studenti. “Lo porta avanti Deina, un’associazione che nasce a Bologna nel 2013, si ramifica a Torino, Trento, ma coinvolge molte più regioni perché alla chiamata della memoria – si legge – hanno risposto in tanti e le richieste aumentano di anno e anno”.
Diversi gli spunti di riflessione dalle pagine culturali e dagli inserti letterari dei quotidiani. Helena Janeczek, vincitrice dello Strega nel 2018, su Robinson prova a immaginare un colloquio tra John Lennon e Franz Kafka. Nelle stesse pagine è pubblicata una intervista ad Antonio Debenedetti, figlio di Giacomo che scrisse 16 ottobre 1943 e autore a sua volta di numerosi racconti (alcuni dei quali a tema ebraico). La Lettura del Corriere presenta un altro volume che ci riporta a quell’epoca: Il Viaggiatore di Ulrich Alexander Boschwitz. “Un romanzo – si legge – che arriva dal passato, scritto in poche settimane con un’urgenza clamorosa e rimasto chiuso per 80 anni negli archivi della Biblioteca Nazionale di Francoforte”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(17 febbraio 2019)