Pagine Ebraiche, l’intervista
Finkielkraut: “Solo i libri
salveranno un cuore intelligente”
A Parigi, il filosofo francese Alain Finkielkraut è stato vittima di una ignobile aggressione antisemita da parte dei gilet gialli. L’ultimo di una serie di episodi inquietanti sulle intenzioni e la matrice di questo movimento.
In una intervista di qualche anno fa con Pagine Ebraiche, Finkielkraut sosteneva: “L’antisemitismo che conta oggi si proclama antirazzista. E dobbiamo trovare il coraggio di dirlo. Il nuovo antisemitismo è un antisemitismo islamo-progressista e si nasconde dietro agli slogan dell’antirazzismo”.
Lo riproponiamo oggi ai nostri lettori, a poche ore da questo brutale attacco.
Ci sono ripari al dolore, scudi ai pericoli, luci perenni nella notte dell’odio e dell’intolleranza. Esistono, e sono a portata di mano. Sono polizze per la salvezza che si trovano sui nostri scaffali, basta prenderle in mano, sfogliarle. Basta mettersi a leggere. Sulla copertina della sua ultima raccolta di pensieri, Alain Finkielkraut non ha voluto niente di vistoso. Solo il suo nome, quello del prestigioso editore che non ha paura in una stagione di ossequienza di tenerlo in catalogo (Stock/Flammarion a Parigi, Adelphi a Milano) e l’enigma fiammeggiante in quelle tre parole che ne fanno il titolo, “Un cuore intelligente”, l’espressione definitiva e la ricetta di saggezza incastonata dal re Shlomo nel libro biblico dei Proverbi. Lui arriva con la luce dolce nella mezza stagione di una Mantova orgogliosa di essere luogo d’incontro e capitale di cultura. Geniale, impertinente, quasi insopportabile, come chi lo apprezza ha imparato a conoscerlo, non sembra accettare mezze misure e non sembra praticare la giustizia salomonica. Non quella, almeno, che comunemente intende chi pratica i luoghi comuni. L’intervistatore si addentra così in un terreno certo affascinante, ma aspro e per nulla rilassante. Tanto che la prima domanda, capovolgendo i ruoli, la pone l’intervistato: “Ma come è possibile fare un’intervista senza un registratore”?
Strano, mi sono sempre chiesto il contrario: “Ma come è possibile intervistare qualcuno affidandosi a un registratore”?
L’intervista deve essere la fedelissima riproduzione di un messaggio. Non ci si può permettere variazioni sul tema.
E con il cuore intelligente, come la mettiamo? Ai giornalisti non è concesso?
L’intervista è una trascrizione migliorata. Niente di più. Perché senza forma in definitiva il contenuto non esiste. Ecco un terreno d’intesa possibile. Proviamoci senza mettere di mezzo l’elettronica.
Questa primavera fioriscono le novità in libreria e le manifestazioni culturali. Pagine Ebraiche, come di consueto, dedica al mondo del libro e alle novità più significative per la cultura e la vita ebraica un grande dossier. Il suo Un cuore intelligente, ora accessibile anche al lettore italiano, è uno dei più affascinanti richiami al mondo del libro e della lettura. E muove dalla radice del più ancestrale ancoraggio ebraico al valore della cultura. Perché?
Quando mi sono messo a scriverlo avevo in mente le parole di un grande filosofo, Paul Ricoeur: “Ho davanti a me tutti i libri aperti”. Che cosa intendeva dall’alto della sua immensa cultura e della sua saggezza? Solo un vanto di quanto conosceva, o piuttosto un richiamo al nostro bisogno di conoscere e di immaginare, alla dovere di leggere e soprattutto di sviluppare la nostra capacità di leggere?
Cosa deve salvarci, la letteratura, o la filosofia?
In questi termini rischia di essere un’enunciazione troppo sentimentale, quasi patetica. Diciamo che non possiamo fare a meno di una forza di mediazione. E’ la letteratura la grande mediatrice. In quelle pagine dobbiamo andare a cercare.
Quali sono i libri che stanno sempre aperti davanti ai suoi occhi?
Ho troppe lacune per potermi permettere di parlare come Ricoeur. Diciamo che tengo aperti sia testi filosofici che romanzi. Entrambi necessari per poter comprendere.
La letteratura può davvero essere una medicina, una salvezza?
La letteratura non è stata capace di impedire alcun massacro fra quelli che hanno contrassegnato il Ventesimo secolo. Ma senza la letteratura non saremmo più in grado di comprendere e di conseguenza resteremmo senza difesa. Il pericolo dell’opacità della comprensione è il rischio più grave.
Sta di fatto che il paziente collage, il percorso di lettura che viene tracciato in Un cuore intelligente, coglie di sorpresa il lettore. Là dove ci saremmo attesi la pedanteria di un distillato di saggezza filosofica incontriamo solo grandi romanzi. Là dove ci aspettiamo una rilettura dei classici ci confrontiamo con la letteratura moderna e contemporanea. Cosa ha guidato le scelte che hanno consentito di tracciare questo itinerario di lettura?
Si tratta di un itinerario del tutto personale, di una scelta soggettiva. Cerco di raccontare i libri che mi hanno affascinato, trasformato. Sono pagine di Milan Kundera, Vassili Grossman, Sebastian Haffner, Albert Camus, Philip Roth, Joseph Conrad, Fedor Dostoievski, Henry James, Karen Blixen. E mi sono sforzato di mettere nella mia lettura tutta la serietà, tutta l’attenzione che richiede il decifrare gli enigmi del mondo.
Il lettore viene quasi condotto per mano nella sua biblioteca e attraverso questo itinerario viene portato nel suo modo di leggere e di vedere. Qual è stata la chiave di lettura utilizzata?
Ho cercato di rispondere alla vera domanda che credo si ponga, di capire se c’è ancora posto per la mediazione che offre la lettura. Oggi possiamo contare su nuovi strumenti di conoscenza che si dimostrano assai ingannevoli. Internet invade e pone apparentemente tutto a portata di mano senza offrire in cambio alcuna comprensione. L’eccesso di disponibilità genera impazienza e cancella tutte le possibili mediazioni. Ho cercato di rendere dignità e forza alla lettura.
Discostiamoci un attimo dall’angolatura eminentemente letteraria. Lei da giovane ha rappresentato fra quelle dei nouveaux philosophes una voce assai provocatoria anche in campo ebraico. Il suo “Ebreo immaginario” ha rotto per primo gli schemi di un’identità ebraica delle nuove generazioni di ebrei europei formalmente legati agli ideali della Memoria della Shoah e del Sionismo, ma in realtà sradicati dalle radici identitarie profonde. Esiste ancora, l’ebreo immaginario?
Esiste ancora. Così come esiste il resistente immaginario e il testimone, il sopravvissuto immaginario.
È ancora necessario riaffermare con forza la necessità di ricostruire un’identità ebraica viva nel presente, nel quotidiano, non nel mito. Io sono un discendente di sopravvissuti e di perseguitati, non sono un sopravvissuto. La tentazione di vivere il presente nella categoria del passato prossimo è sempre in agguato.
È questo il problema dell’ebreo del presente?
Il rischio dell’ebreo contemporaneo è la tragedia dell’inesattezza. Charles Peguy, cui ho dedicato il mio ultimo studio, ci metteva in guardia contro le forzature di voler essere quello che non possiamo essere: “Essere in anticipo, essere in ritardo, che inesattezza. Essere puntuali è la sola esattezza possibile”. Il rischio di essere apocalittici, di identificarsi con le vittime di un antisemitismo razzista residuale.
L’antisemitismo non è più una minaccia?
Certo che è una minaccia. Ma ha cambiato la sua natura. L’antisemitismo che conta oggi si proclama antirazzista. E dobbiamo trovare il coraggio di dirlo. Il nuovo antisemitismo è un antisemitismo islamo-progressista e si nasconde dietro agli slogan dell’antirazzismo.
Ma l’antirazzismo non dovrebbe essere l’ideale fondatore dell’Europa contemporanea?
Prevale una concezione di comodo secondo cui l’Europa dovrebbe continuamente espiare i propri peccati originari, sacrificando ogni sua definizione sostanziale a vantaggio dell’affermazione di generici diritti dell’uomo. E questo non è possibile, non è vero. E non è giusto.
E la Memoria, non è forse in pericolo?
È a rischio se ci affidiamo esclusivamente alla testimonianza degli ultimi sopravvissuti che per motivi generazionali stanno scomparendo. Ma saper leggere vale più di mille viaggi ad Auschwitz. Conoscere Primo Levi e imparare a capire Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati è la memoria che dobbiamo difendere. Il maggior pericolo è la paralisi dell’intelligenza. Difendere il cuore, difendere l’intelligenza.
Torniamo al tema di questo grande invito alle lettura. Non è un po’ troppo elitario lasciar intendere che solo chi conosce la letteratura può comprendere il mondo?
Il filosofo Alain (Emile-Auguste Chartier, 1868-1951) ha ricordato che l’esperienza piove sulla testa di tutti. Tutti ne sono egualmente bagnati, ma non tutti ne sono egualmente ammaestrati. Eppure questa situazione non è ineluttabile. La letteratura consente una prova d’appello a noi che siamo egualmente bagnati e vorremmo esserne ammaestrati. L’universale non è il terreno di caccia esclusivo della filosofia. La letteratura può accedervi e può farlo senza sacrificare le esistenze individuali. Il romanzo mette tutte le ipotesi sull’uomo alla prova della prosa della vita.
Questo cuore intelligente che consente di comprendere la vita attraverso la letteratura serve anche a fare i conti con gli incubi della storia?
Gli autori che ho scelto di citare non mi riportano agli incubi della storia. Al contrario, permettono di lasciarseli alle spalle. Le situazioni storiche interessano solo nella misura che rivela un aspetto sconosciuto della condizione umana.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche maggio 2012
(Disegno di Giorgio Albertini)
(17 febbraio 2019)