Torino – Emancipazione e diritti
“Diritti umani oggi” è il titolo del convegno tenutosi nelle sale del Museo della Resistenza di Torino. Tre le prospettive messe in campo dai relatori per osservare il problema, un’unica diagnosi: i 30 articoli che compongono la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, a settant’anni dalla loro promulgazione, non godono di buona salute.
A comporre la tavola rotonda moderata da Alberto Sinigaglia, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte e della Valle d’Aosta, Andrea Giorgis, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino e deputato alla Camera; Edoardo Greppi, professore di Diritto internazionale umanitario e tutela dei diritti umani presso l’Università di Torino e Luciano Scagliotti esperto in materia di diritti umani , membro del Comitato della Regione Piemonte per i diritti umani.
Il convegno rappresenta l’appuntamento conclusivo di un weekend dedicato alle celebrazioni dell’Emancipazione, e quindi all’acquisizione di diritti, concessa da Re Carlo Alberto alle comunità religiose valdesi ed ebraiche, rispettivamente il 17 febbraio e il 29 marzo del 1848. Ad introdurre l’incontro i presidenti degli enti promotori, Patrizia Mathieu, per il Concistoro Valdese, Dario Disegni, per la Comunità ebraica di Torino, Federico Vercellone per il Centro Culturale Protestante.
Un’analisi dettagliata e puntale del rapporto tra libertà e diritti quella messa in campo da Andrea Giorgis, che sottolinea l’imprescindibile presenza per la loro piena e concreta attuazione di presupposti materiali prima e culturali poi. “Moltissime violazioni e mancate attuazioni dei diritti”, questi gli elementi che emergono ad oggi nel tentativo di scattare una fotografia che restituisca un’immagine dei diritti umani. Da questo documento, così come dalle carte costituzionali, emerge un’idea di società e di convivenza chiara e semplice, prosegue Giorgis, “Idea della primazia della persona e la necessità di attuare una convivenza nel pieno sviluppo della persona umana”. I diritti sono quindi qualcosa che deve essere garantito ad ogni essere umano e non a gruppi, questa la forza dell’art.1 della Dichiarazione, ed è proprio il primo articoli, e a cascata i restanti 29 a non godere di buona salute. Centrale ancora il concetto di limite: la stessa Dichiarazione rappresenta un tentativo di limitare il potere per garantire l’esercizio della libertà. Limitare il potere vuol dire distribuirlo: si tratta del potere politico che si esercita con il diritto di voto, il potere economico che si traduce in distribuzione delle risorse e il potere culturale legato alla diffusione dell’informazione. “Oggi il potere stenta ad essere separato, distribuito e diffuso. Oggi è sempre più concentrato. Oggi si assiste alla rimozione di ogni limite. Oggi si sottovaluta il rischio che ogni aspettativa possa essere argomentata come un diritto”, conclude.
“La cultura dei diritti si sta affievolendo ed è questo che ci porta qui oggi”, commenta in apertura Edoardo Greppi, definendosi genuinamente preoccupato in tema dei diritti. Se il nodo centrale è rappresentato dal rapporto tra libertà e diritti, questo cambia forma dopo che fa il suo ingresso un terzo elemento, la sicurezza: “Dopo l’11 settembre, si è cominciato sempre più a cedere quote di libertà (e quindi di diritti) in cambio di sicurezza”. Un vero e proprio punto di non ritorno, di inversione di tendenza che avanza fino a concretizzarsi oggi in “insofferenza verso quei diritti, più o meno mascherata sotto forma di atteggiamenti e comportamenti populisti in nome del popolo”. Centrale in questa analisi il rapporto tra stato ed individuo, inteso in termini di “mito dello stato sovrano ed ipertrofia dello stato sovrano”, commenta Greppi rifacendosi alle parole di Luigi Einaudi. Gli stati quindi continuavano a ritenere che l individuo sia comunque inteso come suddito e quindi oggetto. La stessa Dichiarazione risulta di fatto uno strumento inadeguato perché non vincola gli stati, che si dimostrano riluttanti ad ogni forma di perdita di controllo sui cittadini.
A concludere il giro di interventi è Luciano Scagliotti, che concentra la sua analisi sul “diritto di difendere i diritti” e quindi sul ruolo dei difensori dei diritti umani che devono salvaguardarne l’esecuzione e quindi l’attuazione, oggi sempre più percepiti e additati come “disturbatori”, quando invece rappresentano un elemento essenziali per la stessa democrazia. “Nel 2018 sono 314 i difensori dei diritti uccisi nel mondo, praticamente un assassinio al giorno”, commenta.
Alice Fubini