MEMORIA Salonicco, una storia da portare alla luce
Nico Pirozzi / SALONICCO 1943. AGONIA E MORTE DELLA GERUSALEMME DEI BALCANI / Edizioni dell’Ippogrifo
Nico Pirozzi, in questi anni, ci ha ben abituati. Vicende sottratte all’oblio in cui erano confinate da decenni, appassionate battaglie per la giustizia e la verità storica portate a conclusione. Tra tutte, lo sradicamento dalla toponomastica di Gaetano Azzariti, presidente del Tribunale della Razza a lungo omaggiato di una strada del centro di Napoli che è oggi intitolata a una giovanissima vittima del nazifascismo: Luciana Pacifici. Il suo ultimo lavoro, “Salonicco 1943. Agonia e morte della Gerusalemme dei Balcani”, pubblicato da Edizioni dell’Ippogrifo, conferma questa tradizione di incontro tra passione civile e narrazione efficace.
Dopo tante storie napoletane, Pirozzi ci porta altrove. Ma è una storia che, come subito si evince, ci riguarda da vicino. Un tempo sede di una fiorente comunità ebraica devastata dalla soluzione finale, Salonicco è lo scenario di una vicenda che tira in ballo eroismi e miserie della diplomazia negli anni bui. Un tema al centro dell’attenzione come ricorda anche l’allestimento in corso alla Casina dei Vallati a Roma – “La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli Ebrei (1938-1943)” – attraverso cui la Fondazione Museo della Shoah ha scelto di rapportarsi a quel periodo portando sotto gli occhi di tutti nuovi documenti relativi all’operato di funzionari e ambasciatori.
Pirozzi, in questo suo libro, offre nuovi elementi sul coraggio di chi, dal Regio consolato italiano, decise di opporsi con le sole armi della burocrazia a disposizione. Il console Guelfo Zamboni, ad esempio, cui nel 1992 lo Yad Vashem inviò una lettera ufficiale di ringraziamento per le azioni svolte (ma senza l’inserimento nel registro dei “Giusti tra le nazioni”). Il suo successore, Giuseppe Castruccio, che proseguì l’opera di salvezza. O ancora il capitano Lucillo Merci, il cui diario è stato tra le fonti di “Salonicco 1943”. Tre figure che a lungo credettero nel fascismo, che furono abbagliate da Benito Mussolini ma che nel momento della grande prova scelsero l’opzione giusta.
Scrive Pirozzi: “Ciò che è accaduto in quell’angolo di Grecia nei tredici mesi che segnarono la scomparsa della Comunità ebraica di Salonicco lo raccontano i pochi sopravvissuti alla mattanza e i tanti documenti venuti alla luce nel corso degli anni. Così anche l’opera umanitaria profusa da un pugno di uomini che, al di là delle loro simpatie politiche e di quello che erano stati in passato, si rifiutarono di essere complici, o anche semplici spettatori, di un massacro collettivo”.
Una vicenda che, a detta dell’autore, non ha ottenuto la stessa risonanza riservata a situazioni analoghe. Il libro cerca di colmare questa lacuna. Partendo da vecchi muri “scrostati” e balconi “aggrediti da troppa ruggine”, quelli di villa Olgas, che raccontano una storia di vita che si è presa gioco della morte.
Adam Smulevich