Periscopio – I gilet e Feltri
Devo confessare che mi sono stancato di dovere sempre stare attento a non generalizzare, a non attribuire a una massa indistinta di individui la responsabilità di gesti deprecabili compiuti da una minoranza (?), più o meno estesa e rappresentativa, di vasti movimenti popolari. Mi sono stancato di dovere sempre salvare la buona fede di una larga maggioranza (?) di brave persone che eserciterebbero il sacrosanto diritto di manifestare, di denunciare le ingiustizie del mondo, di chiedere riforme e miglioramenti, e che si troverebbero, loro malgrado (?), in cattiva compagnia. Mi sono stancato di dovere sempre presumere che quelli che sfilano accanto a facce da galera, teppisti di strada, violenti sobillatori di odio, beceri e volgari antisemiti, al peggio del peggio della società siano sempre automaticamente da considerare innocenti, puri e immacolati, solo perché non hanno personalmente incendiato nessuna auto, non hanno picchiato nessun poliziotto, non hanno urlato a nessuno in faccia “sporco ebreo”, o “giudei, la vostra ora si avvicina”, non hanno imbrattato con la vernice rossa le vetrine dei negozi degli ebrei, segnandoli con la scritta “Juden”, mentre tutte queste cose venivano fatte, a pochi metri da loro, dai loro compagni di protesta, che marciavano accanto a loro, indossando la loro stessa lugubre divisa, il cui giallo sgargiante è diventato, per il suo inequivoco significato, color catrame, più nero del nero. Mi sono stancato di assolvere automaticamente i “molti” (?), per riservare la condanna soltanto ai “pochi” (?), semplicemente perché è più facile, più semplice, più tranquillizzante pensare di vivere in un mondo di buoni, nel quale i cattivi, per definizione, devono sempre essere pochi.
Mi sono stancato di tutto questo perché, semplicemente, non è vero, e mi sono stancato di questa lampante ipocrisia. Perché, se il Signore, o l’evoluzione della natura, hanno donato agli uomini i doni della parola, della coscienza, del giudizio, hanno anche conferito loro il preciso dovere di usarli. E se io vedo uno, accanto a me, che cammina insieme a me, nel mio stesso corteo, nel mio stesso movimento, andando nella mia stessa direzione, indossando la mia stessa ridicola casacca, che compie un gesto ripugnate, dovrei avvertire subito l’esigenza di denunciarlo, di cambiare percorso, di dire che io non c’entro, che sono diverso da lui, anzi, l’opposto di quello che lui è. Se, naturalmente, tutto questo (che io non c’entro, che sono diverso da lui, anzi, l’opposto di quello che lui è), è vero. Se non lo faccio, se, tra masse di decine di migliaia di persone, nessuno, ma proprio nessuno avverte il bisogno di farlo, il significato è un altro, ed è molto chiaro. Poi, se si vuole continuare a fare come le tre scimmiette, a non vedere, non sentire e non parlare, se si vuole continuare a distinguere tra “moderati” e “duri e puri”, con sottili e raffinate analisi del linguaggio, è un altro discorso. E lo stesso vale per gli entusiasti sostenitori del movimento che vivono in un altro Paese – che, per sfortuna, è il nostro -, i quali, nell’ammirare l’attacco al sistema sferrato dai cugini d’Oltralpe, non avvertono minimamente l’esigenza di condannare la parte minoritaria (?) del “popolo” che, forse, sbaglia. Perché il popolo, per definizione, non sbaglia mai. E anche se, per ipotesi, sbagliasse, dire “io sto con il popolo, ma solo con la parte buona del popolo, perché nel popolo ci sono anche dei cattivi” fa venire meno tutto l’effetto. Farebbe apparire immediatamente timidi, tentennanti, buonisti, vicini alla casta. Mentre, si sa, al giorno d’oggi vincono i tipi tosti, determinati, che sanno bene come e dove colpire, come fare male.
Mi sono stancato, non lo farò più.
Poche parole, infine, a margine delle affermazioni di un noto giornalista italiano che ha detto che gli ebrei “rompono”, da decenni, con questa storia della Shoah. Su di lui non ho niente da dire, il mio giudizio è rimasto quello di prima. È un signore che conosce bene le regole del linguaggio, sa bene che farsi ascoltare attraverso l’arte del ragionamento e dell’analisi è molto più faticoso, più noioso, più inefficace di quanto si possa ottenere con altri mezzi, altri sistemi, più graditi alla “pancia” della gente. Sa bene che, quello che lui ha avuto il coraggio di dire, sotto sotto lo pensano un sacco di persone, soprattutto tra i suoi lettori. Niente da dire su di lui, quindi, continui a essere quello che è. Solo una piccola domanda. Il medesimo signore si è distinto molte volte, in passato, per i suoi pubblici proclami di sostegno a Israele, che probabilmente non sa neanche che cos’è, ma gli piace, perché gli hanno detto che è qualcosa di anti-Islam e anticomunista. E, per queste sue dichiarazioni, è stato più volte pubblicamente ammirato da alcuni filo-israeliani (non da me, mai). La domanda (non certo a lui, ma a questi amici filo-israeliani) è: nessun imbarazzo?
Francesco Lucrezi, storico