L’inaugurazione della mostra
“Formiggini, figura indimenticabile”
L’uomo di cultura che seppe imporsi sulla scena con geniali intuizioni, l’editore che segnò una stagione straordinariamente feconda di iniziative, l’utopista che sognò un mondo affratellato dalle buone letture e dalle risate in un tempo segnato da cupezza, rancore, violenza. Odio che pagò in prima persona con la promulgazione delle Leggi razziste e a cui decise di opporsi con un gesto estremo, per far aprire gli occhi a una società distratta: il suicidio. Il 29 novembre del ’38 fu il suo ultimo giorno: salì sulla torre del Ghirlandina del Duomo di Modena e da lì si lanciò in un salto nel vuoto che poteva avere una sola conclusione. “Al tvajol ed Furmajin”, il tovagliolo del Formaggino in dialetto locale, un luogo chiamato così un po’ da tutti i modenesi in modo ufficioso ma entrato solo da poco ufficialmente nella toponomastica cittadina.
Atto che ha rappresentato il più significativo di una serie di impegni nel suo nome che proseguono in queste ore con l’inaugurazione di una mostra davvero emozionante: “Angelo Fortunato Formiggini. Ridere, leggere e scrivere nell’Italia del primo Novecento”.
Ospitata alla Galleria Estense e alla Biblioteca Estense di Modena, le istituzioni cui donò il suo patrimonio documentale e di titoli che avrebbero dovuto confluire nella tanto agognata Casa del ridere, è una mostra che ci accompagna lungo una intera fase storica. Gli anni dell’Italia liberale, l’impresa coloniale in Libia, la tragedia del primo conflitto mondiale, gli anni del regime fascista. A curarla è il ricercatore Matteo Al Kalak, che ha oggi guidato una visita in anteprima per la stampa in compagnia della direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli, di Renato Cecilia Santamaria, nipote di Formiggini e dell’assessore comunale alla Cultura Gianpietro Cavazza.
Diceva Formiggini, a Grande Guerra in corso: “L’Europa nuova che dovrà sorgere dalle rovine della vecchia Europa dovrà essere civile e fraterna; non vi potrà essere fraternità se vi sarà oppressione di un popolo sull’altro, ma nemmeno se non ci sarà comunione di cultura fra i popoli. E converrà soprattutto che i popoli si conoscano nei loro aspetti più simpatici e umani, cioè appunto nella loro peculiare gaiezza e nelle particolari colorazioni che presso ciascuno di essi assume l’amore alla vita: ridere è amore di vita”.
Iniziative e impegni di una vita spezzata dal razzismo di Stato che rivivono nelle varie stanze e pannelli. L’ideale restituzione alla collettività di un patrimonio ancora in parte da riscoprire. “Ne dovremmo avere ancora molti di Formiggini ai tempi nostri. Ce ne sarebbe un gran bisogno” chiosa la direttrice Bagnoli.
“Di personaggi come Angelo Fortunato Formiggini ne nascono pochi. Il destino loro riservato non ha quasi mai caratteristiche prevedibili e, per molti versi, chi li frequenta troppo a lungo, anche come semplice lettore, finisce per esserne catturato” conferma Al Kalak.
Formiggini e l’editoria: un legame indissolubile. Spiega al riguardo Bagnoli: “L’identità tra uomo e marchio editoriale è completa e sancita alla morte, quando le ceneri di Formiggini vengono riposte in un’urna recante non il suo nome ma il logo, appunto, della casa editrice. Questo sistema di comunicazione, brillante e personalissimo basato sulla creazione del personaggio, instaura di fatto un legame singolare tra Formiggini e i suoi lettori, che l’editore ascolta e di fatto insegue”.
È l’imponente censimento con oltre 66.000 nomi, che gelosamente conserva in un grande schedario nella sede romana della sua casa editrice, a suggerire il desiderio di rapporto diretto con il suo pubblico e i suoi autori. Prosegue Bagnoli: “Nell’età degli youtuber, di Instagram e Twitter questo dialogo sembra cosa scontata, ma in un’epoca in cui le conversazioni e i messaggi si scambiavano per posta, la creazione di uno strumento che permettesse a lettori, scrittori ed editori di comunicare non era cosa affatto ovvia”.
Da questa stessa esigenza, ha sottolineato, sorse del resto il suo capolavoro: L’Italia che scrive, premessa all’istituzione della Fondazione Leonardo. “Nata per informare, incoraggiare alla lettura e favorire l’editoria, è forse la sua più brillante invenzione”.
Un’idea che più di ogni altra fece gola al fascismo, che nella figura di Giovanni Gentile letteralmente gliela scippò. “Mentre si costituiva l’Istituto che avrebbe divulgato i traguardi della cultura italiana – spiega Al Kalak – alla ribalta saliva un personaggio che avrebbe procurato all’editore nemici e detrattori. Dopo la marcia su Roma, guardata con favore dallo stesso Formiggini, Mussolini dava infatti all’Italia un nuovo governo, imponendole, nel giro di poco tempo, il giogo della dittatura. La Fondazione Leonardo fu uno dei tanti ambiti in cui la pervasiva volontà di controllo del regime si fece sentire”.
La cocente delusione che gli derivò da quella vicenda, prosegue Al Kalak, lo portò a comporre un pamphlet contro lo stesso Gentile, accusato, come dichiarato sin dal titolo, di essere La ficozza filosofica del fascismo. “Se a Mussolini ancora non si addossavano troppe colpe, eccetto la pessima scelta di funzionari e gerarchi come il filosofo siciliano, era quest’ultimo a rappresentare il bernoccolo (ficozza in romanesco), che deturpava il volto del fascismo”.
La prima di una serie di terribili umiliazioni. Fino al gesto estremo.
Significativamente è però uno sguardo alla Casa del Ridere e non al suo suicidio a concludere l’itinerario museale. Uno sguardo vivo, per un sogno ancora da realizzare.
(In alto la locandina della mostra, il curatore Matteo Al Kalak, la direttrice Martina Bagnoli)
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(28 febbraio 2019)