Machshevet Israel – La responsabilità collettiva delle città-rifugio
«Un certo diritto» – scrive Levinas in L’Au-delà du verset, riferendosi al nucleo biblico del diritto ebraico– «è concesso al mero stato d’animo […]”, alla rabbia del parente dell’ucciso nei confronti dell’assassino, ancorché involontario. Sullo sfondo la figura del go’el ha-dam, del redentore del sangue versato. Eppure – appunto – solo un certo, limitato, diritto (soggettivo), poiché proprio contro questo, contro la spontanea rabbia dei parenti della vittima, il diritto – in quanto sistema di norme e di apparato atto ad applicarle – “protegge l’assassino involontario”, ossia colposo. “La legge di Mosé individua delle città rifugio ove l’assassino involontario si [possa] rifugiare o esiliare. Rifugiarsi o esiliarsi: le due cose, assieme”. Se è vero che la città rifugio costituisce una protezione contro il ‘calore del cuore’ del parente dell’ucciso, è anche vero che essa costituisce per l’omicida colposo “una sanzione”. Dunque chi è “assassino per imprudenza” non è, per questo, meno responsabile delle proprie azioni. Levinas passa quindi a chiedersi, utilizzando la prima persona plurale e, con ciò, interrogando ciascuno di noi: “siamo abbastanza coscienti, desti”? siamo “abbastanza uomini”? La risposta, penso, non può che essere, a livello fattuale, parzialmente negativa: indaffarati nelle nostre quotidiane vicende, non possiamo curarci di tutte le conseguenze che le nostre azioni hanno sul prossimo – termine che, nell’economia globale contemporanea, include necessariamente anche chi è, in senso fisico, più remoto. A partire da tale consapevolezza possiamo comprendere perché, secondo Levinas, siano le stesse metropoli dell’Occidente ad esser viste come delle “città rifugio”. Ogni nostro istituto è atto a proteggerci – “legittimamente” ossia, “in virtù della nostra innocenza soggettiva” – dalla furia “senza fede né legge” di chi, fosse anche del tutto inconsapevolmente, abbiamo in qualche misura leso. Nell’accostamento delle nostre istituzioni a quella delle città rifugio risuona l’appello a una responsabilità difficilmente circoscrivibile. Ci scopriamo, in quanto non sufficientemente “desti”, nell’analoga condizione degli assassini involontari. Allo stesso tempo, le nostre istituzioni si appalesano come legittima difesa a un altrettanto legittima collera. A partire da tali passaggi è possibile muovere ulteriori considerazioni. La consapevolezza – che a tratti in ognuno di noi, in tonalità diverse, può far breccia – di non essere così distanti dagli assassini involontari dell’episodio biblico, non conduce necessariamente a delegittimare la nostra esistenza istituzionale, le nostre città, tribunali e polizia. Permette, tuttavia, di riflettere, e di agire di conseguenza. Abbiamo il diritto di vivere protetti ed anche, in un non facile equilibrio, il dovere di riconoscere e analizzare le conseguenze di quelle azioni fatte con noncuranza, prive di intenzionalità.
Cosimo Nicolini Coen