Noi e gli indigenti
Nel corso del progetto ‘Il Talmud insieme’ che prevede, da un mese a questa parte lo studio del Talmud nelle case ebraiche fiorentine, commentando la Mishnà Pesachim in cui anche il più povero di Israele deve digiunare la vigilia di Pesach sino al Seder, viene affrontato il discorso del dovere dei Parnassim di farsi carico della raccolta delle offerte da destinare ai bisognosi, e di come l’averà di non avere vino sufficiente ai quattro bicchieri rituali ricada non sull’indigente ma su chi non ha provveduto a far sì che anche i bisognosi avessero il necessario per il Seder (Mishnà Pesachim 10).
Del resto, ricorda Rav Spagnoletto, a fronte del difficile lavoro dei Parnassim nel cercare fondi per la tzedakà, c’è l’altrettanto difficile lavoro del povero, rappresentato magistralmente nel romanzo di Israel Zangwill Il re degli schnorrer (Marietti 2014).
Lo schnorrer, che non è semplicemente il povero, ma il mendicante che trasforma la propria povertà in un’arte di vivere fatta di quel misto di intelligenza, impertinenza e ars oratoria riassumibile in un altro concetto yiddish che è la Chutzpà.
Come quella del povero che mendica un giorno davanti ad una chiesa ed un altro davanti ad una sinagoga, il cui shammash credendo di averlo colto in fallo lo apostrofa, chiedendogli se sia cristiano od ebreo. Ebreo, risponde lo schnorrer, ma oggigiorno chi campa di una sola religione?
Sara Valentina Di Palma
(28 febbraio 2019)