Società – La malattia contagiosa

Sacrosanto il diffuso sentimento di indignazione suscitato dai nuovi focolai di antisemitismo che si stanno propagando dall’Est all’Ovest dell’Europa. Ma anche allarmante lo sconcerto che traspare dalle reazioni di Bruxelles e di alcune capitali importanti a simili manifestazioni di intolleranza. Di che cosa ci si sta sorprendendo? Del ritorno della svastica nelle piazze tedesche? Dei nuovi pogrom invocati per le vie di Varsavia? Delle croci uncinate nei cimiteri ebraici in Francia? Di qualche miserabile che rilancia la menzogna zarista dei Protocolli di Sion in Italia? Così tanti indizi sono la prova provata che ormai ci si trova di fronte a un fenomeno esteso e articolato. Che, dunque, non può essere considerato accidentale e tanto meno inaspettato perché le sue radici vanno cercate proprio nell’arrendevolezza con la quale le istituzioni dell’Unione – e con loro i governi più autorevoli – hanno assistito al progressivo allontanamento di alcuni Paesi e di larghe fasce delle pubbliche opinioni dai canoni storici della democrazia europea. Il fatto che tutto sia cominciato sotto la pressione della grande ondata migratoria non cambia le cose. Si comincia col “nero” che viene da lontano e poi la deriva razzista rinfocola immancabilmente l’atavica tara europea dell’odio per il diverso della porta accanto, come l’ebreo. Occorre perciò spezzare il velo d’ipocrisia politica dietro il quale si è cercato per troppo tempo di tenere in piedi una “civile” convivenza fra i Paesi dell’Unione. Ma subito, prima che il prezzo dei continui compromessi al ribasso arrivi a logorare le fondamenta stesse della costruzione europea. Senza colpo ferire per anni, si è consentito al “viktatore” di Budapest, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, di chiudere i suoi confini col filo spinato, di contrastare libertà di stampa e di insegnamento, di rifiutare gli obblighi di solidarietà comunitaria, di attentare all’indipendenza della magistratura, di proclamarsi alfiere di un’inconcepibile “democrazia illiberale”. E altrettanto ci si è comportati con i camerati di Varsavia che in sfregio allo Stato di diritto hanno fatto anche di peggio arrivando a teorizzare l’univocità religiosa del Paese. Quando poi ci si è finalmente rassegnati a prendere un’iniziativa di contrasto non si è trovato di meglio che aprire un dilatorio contenzioso giurisdizionale. Così sviando verso la magistratura un problema che nella sostanza è tutto politico. Troppo facile stupirsi di quanto accade dopo così tanti e ripetuti atti di benevola negligenza verso i predicatori dello sciovinismo populista. Troppo comodo non voler vedere le cause di effetti così turpi. In Europa non basta dirsi paladini della democrazia liberale e dei diritti umani, ma è essenziale assumersi la responsabilità di battersi senza remore per il loro rispetto. Altrimenti scatta la trappola di Richelieu, il quale sosteneva che fare una legge e non farla rispettare equivale ad autorizzare ciò che si vuole proibire. Con il serio rischio, nel caso specifico, di una dilatazione del danno anche all’esterno dell’Unione, in primo luogo a scapito della fragile condizione dello Stato di Israele. Per la cui opinione pubblica l’ignavia politica europea può essere facile appiglio per non confrontarsi con il non banale monito di Nietzsche sul pericolo che chi combatte i mostri possa diventare egli stesso un mostro. Il sonno della ragione a cui sembra arrendersi l’Europa è una malattia contagiosa.

Massimo Riva, La Repubblica, 27 febbraio 2018