MEMORIA Camerata Heidrich, lavoro eseguito
Anatolij Kuznecov / BABIJ JAR / Adelphi
I nazisti occuparono Kiev il 19 settembre 1941. Cinque giorni più tardi, dal centralissimo Krescatik (là il comando tedesco si era insediato al posto della nomenklatura sovietica) iniziò una serie di esplosioni: prima di ritirarsi gli uomini del NKVD avevano nascosto in più luoghi mine telecomandate. Uno spaventoso incendio devastò la città. Agli ebrei, accusati di spalleggiare i «comunisti», fu intimato di presentarsi «il 29 settembre 1941, alle 8 del mattino, all’angolo tra via Mel’nikov e via Degtarév» prendendo con sé documenti, oggetti di valore, indumenti caldi. Si presentarono. Seguiti da una scorta armata dovettero raggiungere Babij Jar, un grande dirupo – 50 metri di profondità e 2,5 km di lunghezza – nella parte nord-occidentale di Kiev. Furono divisi in gruppi di circa 500-600 e costretti a spogliarsi. Nudi, 30 0 40 per volta, lungo stretti passaggi presidiati da militari che menavano bastoni e manganelli, arrivavano sul bordo dello strapiombo da cui subito, sotto il fuoco di mitragliatrici e fucili automatici, precipitavano giù. Il 2 ottobre ’41 Heydrich venne informato: «Dal 29 settembre al 30 settembre il Sonderkommando 4a, con l’appoggio dell’Einsatzgruppe HG…ha liquidato 33.771 ebrei. In maggioranza donne, bambini e anziani (la popolazione maschile adulta è stata chiamata alle armi)». Con quell’1 alla fine, la cifra confermava la rinomata precisione teutonica. Non teneva però conto dei bambini sotto i tre anni: per risparmiare proiettili erano stati gettati ancora vivi nell’orrido. Seguirono altre ondate di esecuzioni (ebrei, ma anche zingari, partigiani, ecc.). I superstiti dei prigionieri di guerra russi che dal 19 al 30 agosto 1943 dovettero occultare le prove dell’eccidio, costruendo pire (uno strato di legna, uno di cadaveri) alte come case di due piani cui poi davano fuoco, testimoniarono che i morti erano almeno centomila. Nel 1950 si decise di inondare Babij Jar con i rifiuti liquidi delle vicine fabbriche. Non furono rispettate le più elementari norme di sicurezza. Il 13 marzo 1961 una colossale massa di fango travolse il quartiere di Kurenévka, prossimo al burrone, facendo più di centocinquanta vittime. A Kurenévka aveva trascorso infanzia e adolescenza Anatolij Kuznecov, (1929-1979) autore di BabijJar potente romanzo documentario impossibile da valutare secondo i comuni criteri estetici. Un giorno, con un amico, seguendo gli ossicini di cui era cosparso il fondo di un ruscello Kuznecov arrivò al punto in cui la sabbia diventava grigia. Capì che camminava su cenere di esseri umani. «Raccolsi un blocco di circa due chilogrammi, lo portai a casa e lo conservai… Decisi che bisognava prendere nota di tutto. Così nacque l’idea del libro…». Il libro fu pubblicato nel ’66 da Junost (un periodico che durante il Disgelo aveva fama di «progressista») in una forma mutila, «vegetariana»: scomparve ogni accenno alla collettivizzazione forzata, alla fame, all’antisemitismo di Stato, alla politica e alla tattica militare di Stalin, alle mille imperfezioni e aberrazioni della vita nel paese dei Soviet. Babij Jar divenne un’opera esclusivamente antinazista e antifascista. Nella retorica postbellica Kiev era una «città-eroe» e non una città martire, il massacro riguardava soltanto «cittadini sovietici»: nulla doveva ricordare la specificità etnica del genocidio. Parole, frasi, interi capitoli da cui trapelava la verità (il sostegno di una parte della popolazione locale ai nazisti, ad esempio) furono accuratamente tagliati – in questa edizione italiana, basata su quella pubblicata all’estero dall’autore, compaiono tra parentesi. Nel luglio del 1969 Kuznecov era riuscito a ottenere un visto per l’Inghilterra, dove aveva chiesto e ottenuto asilo politico. Il capo del Kgb, Andropov, informò il Comitato Centrale delle misure adottate per far tornare in patria lo scrittore, uomo immorale che a Londra era subito andato in un night dub e «nei mesi precedenti la fuga aveva collaborato con un informatore del Kgb» – straordinario paese, l’Urss, dove a chi chiedeva di varcare la cortina di ferro consigliavano vivamente di «collaborare» e poi glielo rinfacciavano… Su questo particolare della sua biografia, che il transfuga Kuznecov riconobbe pubblicamente come fatale necessità, si basa ancora oggi l’indignazione di molti lettori russi nei confronti del «delatore» e «traditore della patria». Sarà stato uno di loro a scrivere quanto si legge alla voce Babij Jar, romanzo in Wikipedia: «Nel testo sono evidenti i toni ostili nei confronti di Stalin…». Toni proibiti nell’epoca del nuovo culto di Stalin, «geniale condottiero».
Serena Vitale, La Stampa Tuttolibri, 2 marzo 2019