Fantascienza e antisemitismo – Le storie sul futuro tendono a replicare i pregiudizi del passato
Proponiamo di seguito un testo pubblicato negli scorsi mesi sul Washington Post e tradotto da Beatrice Bandini, studentessa della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Come molti altri gamer, la scorsa settimana ho giocato di nuovo a “No Man’s Sky”. È un gioco di fantascienza estremamente popolare e ambizioso, dove si esplora una vasta galassia, si scoprono nuovi pianeti e nuove specie e si svelano i misteri dell’universo. Nel gioco si incontrano tre specie aliene senzienti: gli scienziati Korvax, i guerrieri Vy’keen e gli avidi Gek.
I Gek sono essenzialmente ebrei dello spazio.
Sono delle creature umanoidi basse, con il naso curvo e la voce stridula, che a volte indossano cappelli e occhiali. E mentre i Korvax sono dei robot razionali e i Vy’Keen dei fieri guerrieri, i Gek sono dei capitalisti calcolatori.
Insomma, questi personaggi non sono altro che un ennesimo riciclaggio di uno stereotipo antisemita trito e ritrito con una patina di fantascienza. Sfortunatamente, questa pratica è abbastanza comune nella narrativa fantastica: personaggi che celano ebrei stereotipati hanno a lungo riempito le pagine dei generi fantasy e fantascientifico, dai Goblin di J.K. Rowling, a Watto in “Star Wars”, ai Nani in “Lo Hobbit”.
Non sempre la creazione di personaggi che incarnano stereotipi antisemiti esprime apertamente un pregiudizio. Questi personaggi potrebbero piuttosto essere stati involontariamente sviluppati da caricature basate su stereotipi diffusi. Nel corso dei secoli le caricature sono state rimescolate e si sono radicate nella cultura popolare a partire dalle fonti più diverse, come “Il mercante di Venezia”, “Candido” e “Oliver Twist”. In sintesi, i creatori moderni potrebbero aver riprodotto le caricature antisemite nonostante le loro intenzioni, e non per loro volontà.
Lo stereotipo dell’”avido ebreo” ha iniziato a diffondersi tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, quando nell’Europa dell’ovest hanno fatto la loro apparizione nuove comunità ebraiche composte da professionisti che emigravano dai paesi del sud e dell’est, con delle economie più avanzate. La loro esperienza, assieme alle loro tradizioni culturali, religiose ed educative, li rendeva particolarmente adatti a lavorare nelle posizioni ai vertici delle economie emergenti delle loro nuove patrie.
In seguito la chiesa proibì ai cristiani di riscuotere gli interessi sui prestiti concessi ad altri cristiani. Gli ebrei invece non erano soggetti a questa restrizione. I cristiani, specialmente gli aristocratici, erano clienti entusiasti dei prestatori ebrei, perché i prestiti sono una componente necessaria di ogni economia avanzata. Questo ha però creato delle ostilità, dato che i prestatori raramente sono benvoluti.
E così nacque lo stereotipo dell’”avido ebreo”, reso ancora più diffuso dal nascente sistema delle corporazioni, che in molti luoghi impediva agli ebrei di praticare certe professioni. Lo stereotipo quindi era assolutamente ironico: gli ebrei sono stati incoraggiati e poi forzati a fare i prestatori, e infine odiati perché prestavano denaro.
Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo gli ebrei lottarono per ottenere maggiori diritti e libertà, distruggendo molti stereotipi medievali, ma in campo economico l’antisemitismo non sparì. Anzi, mentre l’Europa diventava industrializzata e si adattava a un sistema globale di economia di mercato, il mito dell’avarizia degli ebrei si è diffuso così tanto da diventare il mito del “complotto ebraico”, secondo cui gli ebrei non solo sarebbero avidi, ma controllerebbero in maniera diabolica l’intera economia.
Questo pregiudizio economico è stato usato come arma dal regime nazista: i film di propaganda come “Der ewige Jude (L’ebreo errante)” davano regolarmente la colpa della crisi economica che aveva investito la Germania a una supposta manipolazione ebraica.
Anche l’antisemitismo americano ha una lunga tradizione. Nonostante gli ebrei siano presenti negli Stati Uniti dal periodo coloniale, la nuova comunità ebraica stabilitasi in America in seguito alla migrazione di massa alla fine del diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo è stata vittima di discriminazioni. E mentre nelle generazioni del secondo dopoguerra degli Stati Uniti l’antisemitismo strutturale ha iniziato a scomparire, idee antisemite sono rimaste nella cultura popolare.
Pensate al franchise di Star Trek, che ha sempre utilizzato allegorie politiche. Nella serie originale (1966-1969) molti degli alieni erano rappresentazioni di reali correnti di pensiero della Guerra fredda: i Klingon rappresentavano i sovietici, i Romulan i cinesi comunisti.
Dopo la Guerra fredda il sequel “Star Trek: The Next Generation” aveva bisogno di un nuovo set di alieni malvagi. Ed ecco i Ferengi, degli umanoidi bassi con nasi e orecchie pronunciati e denti affilati. I maschi della specie indossano un peculiare copricapo, e le donne si vedono raramente, perché la cultura Ferengi è profondamente misogina e patriarcale. Inoltre, sono estremamente legalistici: i loro matrimoni sono dei veri e propri accordi commerciali, e la loro vita è governata da un insieme di 285 regole.
Ma prima di tutto i Ferengi si distinguono per la loro avidità.
Sono gli ipercapitalisti dell’universo di Star Trek e le 285 Regole dell’Acquisizione includono alcuni classici come: “Una volta ottenuto il denaro, non devi mai restituirlo” (Regola Uno); “L’avidità è eterna” (Regola Dieci); “Un contratto è un contratto… ma solo tra Ferengi” (Regola Diciassette); e “La guerra favorisce gli affari” (Regola Trentaquattro). Se considerate tutte insieme, le Regole rappresentano una cultura che non solo è ferocemente avara, ma anche estremamente amorale e profondamente chiusa.
Forse per peggiorare ancora di più la situazione, gli attori che interpretavano i personaggi Ferengi (Armin Shimerman, Aron Eisenberg e Max Grodénchik, rispettivamente nei ruoli di Quark, Nog e Rom in “Star Trek: Deep Space 9”) sono di origine ebraica. I creatori dei Ferengi hanno ideato dei personaggi che assomigliano e si comportano come gli ebrei nella peggiore propaganda nazista o americana all’inizio del ventesimo secolo.
Che sia voluto o meno, i Gek di “No Man’s Sky” seguono questa tradizione.
È un problema serio per un gioco che altrimenti sarebbe stupendo, e per tutti gli autori di narrativa fantastica. Dovrebbe essere un monito per gli altri creatori di mondi fantastici, perché, anche se non hanno intenzione di creare mondi popolati di stereotipi, sono cresciuti in uno che ne è pieno. È facile prevedere come questo potrebbe accadere: quando i creatori di contenuti hanno bisogno di una specie di avidi commercianti, sono più propensi a farli bassi e occhialuti, e magari con la voce stridula e il naso grande.
È una mina piazzata nella società. Anche se gli autori e i designer non la vogliono calpestare, devono esserne più consapevoli e migliorarsi. I creatori di mondi fantastici devono familiarizzare con i pregiudizi e gli stereotipi pieni di odio che esistono nel mondo e analizzare i loro preconcetti impliciti in modo da non finire per replicarli.
Paul B. Sturtevant, The Washington Post, 14 agosto 2018
Per approfondire il rapporto tra fantascienza e antisemitismo, proponiamo un testo uscito alcuni anni fa sul Guardian, e tradotto da Beatrice Bandini, studentessa della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
I Nani di Tolkien sono un’allegoria degli ebrei?
BOSTON – Tra qualche giorno i tolkeniani di tutto il mondo si riverseranno nelle sale cinematografiche per vedere il secondo capitolo della trilogia di “Lo Hobbit” di Peter Jackson, intitolato “La desolazione di Smaug”.
Come è accaduto con “Un viaggio inaspettato”, il primo capitolo della trilogia, alcuni fan vedranno in questi 161 avvincenti minuti nella Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien dei parallelismi con la storia ebraica, soprattutto con l’epopea di dodici Nani esuli, fortemente determinati a rivendicare la loro patria dalle grinfie del drago Smaug.
Quando Tolkien pubblicò “Lo Hobbit” nel 1937, il sogno sionista di una patria per gli ebrei, per non parlare dell’Olocausto, erano ancora vivi nella mentalità collettiva. Educato a Oxford e devoto cattolico, Tolkien ha prestato servizio come ufficiale addetto alle trasmissioni durante la Prima guerra mondiale, ed è stato testimone della tristemente nota battaglia della Somme, una delle più sanguinose della storia.
Scritto come un libro per bambini, “Lo Hobbit” è stato a lungo analizzato dagli studiosi alla ricerca di allegorie e dell’influenza degli anni di guerra sulla trama.
Un altro parallelismo affascinante per alcuni tolkeniani, il nome ufficiale dei fan di Tolkien, è quello tra la storia e la cultura dei Nani immaginari della Terra di Mezzo e degli ebrei.
Più di trent’anni dopo la pubblicazione di “Lo Hobbit”, Tolkien ha parlato della connessione tra gli ebrei e i Nani in un’intervista alla BBC.
“Non era mia intenzione, ma quando stai lavorando con questi personaggi li devi fare diversi, no?” ha detto Tolkien durante l’intervista del 1971. “I Nani sono abbastanza ovvi, non vi sembra che sotto molti aspetti ricordino gli ebrei? Le loro parole sono semitiche, chiaramente, sono costruite per essere semitiche. Gli Hobbit sono solo degli inglesi grezzi,” ha dichiarato.
Secondo John Rateliff, studioso di Tolkien e autore di uno studio in due volumi sulla storia de “Lo Hobbit”, pubblicato nel 2007, Tolkien avrebbe preso ispirazione da testi in ebraico e dalla storia degli ebrei per creare i Nani. Questi artigiani esiliati da una ricca terra natale parlano la lingua del paese che li ha accolti e tra di loro una lingua con influenze dall’ebraico creata da Tolkien.
Anche se i Nani di Tolkien ricordano il loro passato traumatico con canzoni tristi, molte di queste sono ambivalenti e comparabili con quelle sulla rivendicazione di Erebor, la loro patria perduta. Sulla Montagna Solitaria, nascosta da qualche parte sotto al cumulo di tesori del drago Smaug, c’è l’Arkengemma, una pietra che brilla di luce propria, chiamata anche “il cuore della montagna”.
Secondo alcuni, l’Arkengemma, di ispirazione divina, rappresenterebbe l’Arca dell’Alleanza e la Montagna Solitaria il Monte del Tempio di Gerusalemme.
Come gli ultimi re ebraici dell’Antico Testamento, i re dei Nani di Erebor sono altamente corruttibili e hanno un’ossessione per l’oro. Tolkien spiega chiaramente che il loro incessante accumulo di ricchezza ha alimentato il rancore dei vicini, e ha infine richiamato il drago saccheggiatore.
Per decenni gli studiosi hanno definito la narrativa sui Nani di Tolkien, compresa la sua continuazione nella trilogia de “Il Signore degli Anelli”, una sorta di “correzione” del famoso “L’anello del Nibelungo” del compositore tedesco Richard Wagner. Nel ciclo di quattro drammi musicali gli antisemiti, tra cui anche Adolf Hitler, trovarono una conferma allegorica del loro odio verso gli ebrei, rappresentata dal nano cattivo Alberich. Richard Wagner fu antisemita per tutta la sua vita, e in più occasioni richiese pubblicamente di liberare la Germania dagli ebrei.
Secondo alcuni studiosi di Tolkien, i suoi Nani eroici sono un’inversione volontaria dei nani “ebrei” di Wagner, volti a portare a un ripensamento su degli stereotipi dannosi. Tolkien, amante della mitologia norrena, disprezzava l’alterazione degli antichi racconti ad opera dei nazisti, tesa a incitare all’odio.
“Comunque, in questa guerra ho un mio rancore ardente… contro quel maledetto piccolo ignorante di Adolf Hitler,” scriveva Tolkien nel 1941 in una lettera al figlio. “[Hitler sta] rovinando, traviando, distorcendo e rendendo per sempre maledetto quel nobile spirito nordico, un supremo contributo all’Europa, che ho sempre amato e cercato di presentare nella sua vera luce.”
Diversi anni dopo aver scritto “Lo Hobbit”, Tolkien ha avuto uno scambio di opinioni con gli editori, che volevano tradurre il libro in tedesco. In risposta alla loro richiesta di conferma delle sue origini ariane, l’autore, nato in Sudafrica, ha mostrato il suo disaccordo con la politica nazista.
“Se devo intendere che mi stiate chiedendo se io sia di origine ebraica, posso solo rispondere che mi dispiace, ma pare che io non abbia antenati appartenenti a quel capace popolo”, scriveva Tolkien in una bozza spesso citata. Ha poi definito la teoria nazista della razza “totalmente nociva e non scientifica.”
Anche se Tolkien ha dichiarato di essere “cordialmente avverso” all’allegoria, molti studiosi affermano che “Lo Hobbit” è chiaramente permeato dagli eventi della Prima guerra mondiale.
“Le esperienze di guerra di Tolkien sono sublimate nella sua narrativa,” ha scritto Nancy Marie Ott in uno studio sulle influenze letterarie dell’autore.
“La Prima guerra mondiale rappresentava tutto quello che Tolkien odiava: la distruzione della natura, l’applicazione mortale della tecnologia, l’abuso e la corruzione dell’autorità, e il trionfo dell’industrializzazione,” scrive la Ott. “Ma allo stesso tempo gli ha permesso di apprezzare le virtù delle persone ordinarie, le amicizie, e la bellezza che riusciva a trovare in mezzo alla bruttezza.”
Nel nuovo film in uscita questo mese il pubblico testimonierà il sudato ritorno dei Nani a Erebor e alla Montagna Solitaria, durante il quale dovranno scacciare diversi gruppi di Elfi, Uomini e Ragni Giganti che cercano di sabotare la loro missione.
Il ritorno a casa non è sempre roseo, come quando il loro leader si rifiuta di condividere l’oro recuperato con gli Elfi e gli Uomini che abitano ai confini del regno, per non parlare dell’incontro con i Goblin di Moria. La trilogia si chiuderà il prossimo anno con “La battaglia delle cinque armate”, che culminerà con la consolidazione dell’indipendenza dei Nani in una grande battaglia.
Per i fan sia del creatore della Terra di Mezzo che del reame in sé, Fox Searchlight inizierà a breve la produzione di un film biografico su Tolkien, che evidenzia il legame tra la sua vita privata e la Terra di Mezzo. Il copione è opera dell’illustre tolkeniano David Gleeson, e il film sarà prodotto da Peter Chernin, che al momento è impegnato con le riprese del biblico “Exodus,” che vede Christian Bale nel ruolo di Mosè.
Matt Lebovic, The Guardian, 11 dicembre 2013