Machshevet Israel – Bertola e gli studi sul medioevo ebraico
Un anno fa è uscito, a cura di Giacomo Petrarca e per i tipi della Salomone Belforte di Livorno, una ricca antologia di studi sul pensiero ebraico medievale di Ermenegildo Bertola (Vercelli 1909-2000): si intitola L’eternità del mondo in Mosè Maimonide e altri scritti (1949-1996), pp.412, e in appendice un breve trattato del XIII secolo, in ebraico e italiano, sull’unità di Dio. Il volume ha una prefazione di rav Giuseppe Laras. A giudicare dall’assenza di recensioni, sembra che nessuno se ne sia accorto. È tempo di rimediare, per diversi motivi. Il primo è un atto di doverosa memoria verso il Bertola. Chi era costui? Un cattolico piemontese, che fu attivo nella resistenza contro il nazi-fascismo (fu arrestato due volte e torturato dai repubblichini). Dopo gli studi a Milano con i neo-tomisti Masnovo e Olgiati, si era lasciato ammaliare dai filosofi ebrei medievali e per imparare l’ebraico e accedere a quegli autori si era cercato un maestro, trovandolo nel rabbino capo della sua città: il rav Ugo Yehoshua Messiach (1890-1961). Parliamo degli anni Trenta: vennero presto le leggi razziali, la guerra, quelli di Salò: il rav dovette scappare e il giovane studioso entrò nella resistenza; dopo, Bertola fu eletto alla Costituente e poi deputato, e più tardi divenne senatore DC per quattro legislature. Ma non smise mai di studiare Maimonide, Yehuda HaLevi, Gersonide, Ibn Paquda. Nel 1947 pubblicò con i Fratelli Bocca il pionieristico volume La filosofia ebraica. Si ferma a Joseph Caro e Avravanel, ma quello era il limite temporale della sua ricerca. Di recente Lidia Calò me ne ha regalato una copia (prima e unica edizione) e le sono grato.
Testimonia rav Laras nella sua prefazione: “Ermenegildo Bertola era uno studioso alla vecchia maniera: serio, rigoroso, dai modi riservati. Un uomo che ricercava, studiava e scriveva per un bisogno interiore e non per apparire. Ricordo con commozione gli anni della mia giovinezza a Torino, allorché, innamoratomi in quei tempi del pensiero ebraico medievale, ebbi un grande aiuto e un potente stimolo dagli scritti di Bertola, a quel tempo voce abbastanza solitaria in Italia. I suoi articoli mi aprirono orizzonti nuovi, tipici della scolastica – o teologia razionale – sia ebraica sia cristiana, influenzate entrambe dal kalàm islamico. E così fui stimolato a studiare con crescente impegno la Guida di Maimonide (…) Rimangono nella mia memoria i suoi occhi illuminati di sapienza, acume e serenità”. Gli articoli, a cui Laras fa riferimento, sono quelli apparsi nell’arco di quasi cinquant’anni sulla rivista “Sefarad”: già nel 1950 vi tracciava un parallelo tra gli scritti platoneggianti di Bonaventura da Bagnoregio e Bachjà Ibn Paquda; l’ultimo, del 1996, proprio sul problema delle origini del mondo in Maimonide.
“Il sincretismo – scrive Bertola nell’introduzione a quel testo del ‘47 – è la caratteristica della storia del pensiero ebraico, ma con questo esso ha una sua propria originalità ed una storia propria, poiché anch’esso ha portato il suo contributo nelle faticose conquiste del pensiero”. Oggi non amiamo e non usiamo più la parola ‘sincretismo’, sebbene la Treccani la definisca come ‘incontro di culture diverse che genera mescolanze, interazioni e fusioni…’ e questo, storicamente, è. Il pendolo della storia è ora sul polo dello specifico, dell’originale, dell’autoctono, dell’incontaminato. Ma il pensiero non conosce partenogenesi e, al contrario, germoglia sull’ibrido, sullo scambio, sull’impuro (Primo Levi usava la metafora del centauro per esprimere quest’ibridazione, la sola feconda, almeno sul piano della conoscenza). Ciò che Bertola vuol dire è che si dà pensiero di Israel quando la civiltà ebraica interagisce con altre civiltà, quando vi è scambio linguistico e concettuale, quando c’è incontro e quando c’è scontro critico. Questo scambio aiuta anche a capire se stessi. È il caso, dice sempre Bertola, del primo libro del Mishnè Torà, il codice halakhico maimonideo, chiamato sefer ha-madda‘. Qui il Rambam recepisce la grande convinzione medievale che la conoscenza di Dio è “il pilastro dei pilastri” di ogni sapienza umanamente possibile, una conoscenza che si declina in moralità, studio della Torà, disponibilità a correggersi (fare teshuvà) e lotta ai falsi idoli. È vero, Bertola non era un ebraista ma uno storico della filosofia medievale, ma ha dato a Israele quel che è di Israele.
Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI