“Il nostro ruolo pubblico è laico”

giorgio sacerdotiMerita qualche riflessione sotto il profilo istituzionale il pronunciamento della Consulta Rabbinica contro la partecipazione al concerto al Quirinale in memoria di Tullia Zevi il 3 febbraio 2019 nel centenario della nascita della benemerita e indimenticabile presidente dell’Unione per tanti anni. La motivazione: perché si teneva nella Cappella Paolina, cioè in un locale formalmente tuttora chiesastico, anche se normalmente adibito ad altre funzioni, come appunto il ciclo di concerti domenicali che lì si tengono per iniziativa della Presidenza della Repubblica e della RAI che li trasmette in diretta. Vorrei puntualizzare la necessaria distinzione tra regole alachiche e funzioni dell’UCEI. Secondo tradizione, lo Statuto e l’Intesa, la rappresentanza dell’ebraismo italiano è unitaria e le funzioni di Comunità e Unione si estendono ben oltre alle attività “religiose”, quali tipicamente la gestione del culto, sinagoghe, rabbini, educazione religiosa. In questo senso lo Stato nella Intesa del 1987 (L. 101/89 all’art.18 e 19) ha riconosciuto alle Comunità e all’Unione, su nostra richiesta, anche la funzione di svolgere ad ampio raggio attività sociali e culturali, e la tutela e rappresentanza a livello locale e nazionale degli ebrei in genere, al limite anche non iscritti. Pertanto, fermo restando che rispettiamo la tradizione ortodossa al nostro interno (riposo sabbatico, festività ebraiche, cascerut, ecc.), nell’attività esterna di rappresentanza e di interlocuzione con il pubblico e le autorità statali agiamo laicamente in un contesto civile né siamo tenuti a seguire prescrizioni alachiche, se non per libera scelta individuale e nella misura in cui lo consiglia il rispetto delle sensibilità dei nostri iscritti. Pertanto non contesto ai rabbini di pronunciarsi nel senso che per l’alachà l’ebreo osservante non deve/ non dovrebbe entrare in luoghi di culto cattolico, neanche – sembrerebbe – per ragioni culturali, turistiche o di studio. Osservo però che il seguire in tal senso un responso di Maimonide, dettato in un contesto ben diverso, la dice lunga sull’immobilismo dell’ebraismo tradizionale incapace di aggiornarsi (come se la Chiesa cattolica continuasse a predicare di mettere al rogo gli eretici in base alla sua dottrina medioevale). Corretto quindi per una Comunità comunicare al proprio interno il parere rabbinico, mentre naturalmente spetta a ciascun iscritto decidere se attenervisi o no. Sarebbe invece “ultra vires” stigmatizzare o addirittura consigliare ai propri membri – che sono iscritti in quanto ebrei, non in quanto anche ortodossi, praticanti, shomer mitzwot – di non partecipare al concerto. Sulla distinzione tra attività laiche e religiose si basa la singolarità della rappresentanza e organizzazione unitaria dell’ebraismo italiano a livello locale e nazionale. Se questo vero e proprio “patto” secolare tra di noi viene prevaricato, allora non ci resterebbe che dividerci in associazioni religiose e laiche di vario orientamento, come avviene in quasi tutti i paesi, e trasformare l’UCEI in una federazione, come per esempio il CRIF in Francia. Fino a che così non sarà – e affinché ciò non avvenga (per chi ritiene questa nostro tradizionale modello tuttora valido, come il sottoscritto) – ci vuole reciproco rispetto e senso di responsabilità e moderazione. Comunque è stato di grande soddisfazione per me, che ho collaborato strettamente con Tullia quale consigliere dell’Unione, delegato al negoziato dell’Intesa con lo Stato del 1987, poter presenziare al concerto in suo ricordo organizzato al Quirinale dal Presidente della Repubblica. E potermi sedere accanto a lui e vicino all’ambasciatore di Israele, che certo non si è fatto nessun problema a partecipare, per quanto rappresentante dello Stato che in base alla recente Legge fondamentale si definisce ufficialmente “stato nazionale del popolo ebraico”.

Giorgio Sacerdoti, Presidente Fondazione Cdec, Pagine Ebraiche Marzo 2019

Sul tema era intervenuto su queste pagine il direttore del Cdec Gadi Luzzatto Voghera