Antisemitismo alla ribalta
“Negli ultimi giorni il tema dell’antisemitismo è tornato alla ribalta in Europa. È dello scorso 19 febbraio la notizia della profanazione di un cimitero ebraico in Francia, e nemmeno a una settimana prima risalgono gli insulti al filosofo francese Alain Finkielkraut durante una manifestazione dei Gilet gialli. Se il primo caso è sicuramente un atto di antisemitismo esplicito, il secondo, seppur diretto al filosofo in maniera verbalmente violenta, potrebbe essere letto come un gesto di critica alla politica di Israele”.
Dunque, non c’è soltanto la signora Vera Pegna che in qualche modo legittima l’aggressione a Alain Finkielkraut. Questo incipit è tratto da un articolo comparso sul The Vision – descritto come “la nuova testata online rivolta ai millennials” – col solito titolo ingannevole “Perché si può criticare Israele senza essere antisemiti”. Pareri analoghi sono stati esternati in Francia da vari giornalisti e politici.
Se ne deduce che per gli autori di The Vision si può tranquillamente aggredire una persona che cammina per strada perché in altri contesti ha espresso un pensiero diverso da quello maggioritario. Un trattamento che, personalmente, non riserverei neppure al peggior delinquente. Ricordando inoltre che se davvero l’articolo avesse voluto esprimere la legittimità di una critica ad Israele, Finkielkraut in primis ha espresso sovente criticità nei confronti del governo israeliano – come per esempio per la decisione di Trump, accolta da Netanyahu, di spostare l’ambasciata.
L’articolo infatti proseguendo non si smentisce, e dopo questa illuminante premessa delineerà, senza apportare niente di nuovo, la distinzione (secondo loro) di antisemitismo e di antisionismo, e di quanto sia giusto detestare in toto Israele e coloro che difendono la sua esistenza. Sostenendo, tra l’altro, per ben marcare la loro padronanza sull’argomento, che la Nakba sia un termine ebraico.
In breve, lo sappiamo già, l’antisionismo non potrebbe essere mai antisemita, perché vi sono alcuni ebrei “buoni” essi stessi antisionisti. In quest’ottica consolidata in una certa sinistra gli ebrei si dividono soltanto tra antisionisti e sionisti, senza mezze misure. I primi sono in qualche maniera accettabili, soprattutto poi se rinnegano la propria identità andando contro gli altri ebrei aventi altre idee, e soprattutto se dedicano la propria esistenza a denunciare e prendere le distanze in pubblico da Israele. Il biglietto da visita potrebbe essere: “Ho origini ebraiche, o meglio le ho e non mi interessa, ma odio con tutto il cuore e le mie forze Israele”. I secondi sarebbero al pari dei fascisti, e possono essere presi a sputi, insulti e calci se incontrati sotto casa o al bar (non molto diversamente una certa destra considera “accettabili” e “patentati” solo gli ebrei che sostengono le loro medesime posizioni, gli altri sarebbero “traditori” e “odiatori di sé”).
Già del resto durante l’inquisizione spagnola, un ebreo talvolta poteva salvarsi convertendosi, e diventare magari inquisitore, vedasi Tomas de Torquemada. Durante le leggi razziali in Germania, alcuni nazisti come il segretario di stato Wilhelm Stuckart ritenevano che almeno i Mishlinge potevano essere risparmiati dallo sterminio attraverso la sterilizzazione, e naturalmente rinunciando alle proprie discendenze ebraiche con la piena fedeltà al Reich. Iosif Stalin invece non da tutti era considerato antisemita poiché nonostante abbia mandato al patibolo centinaia di ebrei uno dei suoi principali associati era Lazar’ Kaganovich, un ebreo che certo non si vantava di esserlo.
Ma probabilmente – scriverebbero forse gli autori di The Vision -, neppure tutto questo “potrebbe essere letto” come antisemitismo.
Francesco Moises Bassano
(8 marzo 2019)