Il papa emerito e gli ebrei
Una linea con molte ombre
“Joseph Ratzinger ha fatto intendere nuovamente che Dio ama solamente i cristiani”. È quanto si legge in un importante documento pubblicato dalla Zeit negli scorsi mesi, che ha affidato una risposta ad un intervento apparso su una rivista teologica di lingua tedesca al rabbino Walter Homolka, professore di teologia giuridica a Potsdam e rettore del collegio Abraham Geiger. “La lealtà di Dio è anche per Israele. Tuttavia, gli argomenti teologici di Benedetto possono essere utilizzati dall’antigiudaismo religioso”, dice il consigliere papale Gregor Maria Hoff in un intervento tradotto da Giulia Schincariol con revisione di Rachele Ferin, studentesse della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, entrambe tirocinanti presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
La Chiesa cattolica ha un problema di antisemitismo? La domanda è sempre attuale. Quando, nel 2009, Benedetto XVI revocò la scomunica del vescovo Williamson della ultraconservatrice Fraternità Sacerdotale San Pio X, accettò nella Chiesa un noto negazionista dell’Olocausto. L’indignazione fu molta. Un anno prima il papa aveva già riformulato di propria mano l’intercessione del venerdì santo per l’antico rito straordinario. Da quel momento nella Chiesa cattolica è nuovamente possibile pregare per la conversione degli ebrei.
Su questa linea teologica il papa emerito ha pubblicato un testo che ancora una volta desta un forte disappunto. In questo modo ha infatti relativizzato il Concilio Vaticano II che 50 anni fa aveva creato un rapporto di fiducia tra la Chiesa cattolica e le autorità ebraiche; non solo aveva condannato l’antisemitismo, ma si era anche lasciato alle spalle qualunque forma di antigiudaismo teologico. Nella dichiarazione Nostra aetate è scritto che non bisogna attribuire la responsabilità della morte di Gesù “né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo”. Allo stesso tempo non permette che gli ebrei siano “presentati come rigettati da Dio, né come maledetti”. Piuttosto, la Chiesa resterà legata ad Israele tramite le scritture comuni del Vecchio testamento e l’identità ebraica di Gesù e dei suoi discepoli.
Benedetto XVI non vuole ritornare sulle proprie affermazioni. “Un antisemita è anche un anticristo”, aveva detto quando era ancora papa. Ma in merito alla questione ripresenta anche la vecchia “teoria della sostituzione”, secondo cui il cristianesimo avrebbe sostituito l’ebraismo. Una teologia di questo tipo non può essere senza colpe considerando la storia della persecuzione degli ebrei da parte dei cristiani. Il confine con l’antigiudaismo e l’antisemitismo è sottile. Perciò il saggio di Benedetto è precario. Afferma infatti che prima del Concilio non c’era nessuna teoria della sostituzione, dato che non appariva nel linguaggio relativo a quest’ambito – come se l’atteggiamento in sé non avesse avuto nessun ruolo nella storia. Per lui l’eucaristia cristiana è subentrata al posto del culto del tempio ebraico e le tradizioni profetiche di Israele si compiono con il cristianesimo. È così semplice? Cosa resta oggi dell’ebraismo? Dal Concilio, la teologia cattolica si vede obbligata nei confronti delle proprie radici ebraiche: storicamente per quanto riguarda le origini; teologicamente nel legame con gli ebrei, che Dio non esclude nel suo manifestarsi in Cristo. Dio è fedele, anche nei confronti di Israele.
Dai tempi di papa Giovanni Paolo II questa idea è diventata un principio e rientra “in un certo senso”, come sminuisce il suo successore, “nella dottrina della Chiesa cattolica di oggi”. Ma Benedetto aggiunge che del “dramma della storia tra Dio e l’uomo” fa parte “anche il rifiuto da parte degli uomini, la rottura dell’alleanza”. Si parla degli ebrei. E così ne pagano le conseguenze: “distruzione dei templi, diaspora del popolo di Israele”. Vale lo stesso per tutte le altre pene sofferte dagli ebrei fino alla Shoah? Un teologo cristiano che scrive di Israele non può parlare in maniera così disinvolta della “durezza delle punizioni” di Dio. Benedetto lo fa. Parla addirittura dell’“infedeltà” di Israele. Così facendo si dimostra cieco nei confronti della storia ideologica della sua Chiesa e la rende associabile all’antigiudaismo religioso.
Il papa attuale parla in modo diverso. Per Francesco “l’amore costante e fedele di Dio per l’Antica Alleanza” è chiaro. Benedetto invece ha sempre voluto combattere il “relativismo” di diversi cammini di salvezza. Vede l’ebraismo come la religione della promessa. Solo con il cristianesimo l’amore di Dio assume per la prima volta la sua “forma definitiva”. Benedetto vuole tutelarne la tradizione cristiana. Ciò può essere inteso anche come avvertimento di fronte al cambiamento della Chiesa che Francesco sta forzando. Il testo è stato pubblicato anche per questo motivo?
Gregor Maria Hoff insegna Teologia fondamentale a Salisburgo ed è consigliere papale per i rapporti con l’ebraismo. Recentemente è stato pubblicato “Religionsgespester” (Schöning)
(11 marzo 2019)