Donne e il Muro
Pochi giorni fa un breve servizio di uno dei tg RAI mostrava alcune donne con talled e tefillin in preghiera davanti al Muro Occidentale cacciate in malo modo da un gruppo di haredim. La descrizione fornita era abbastanza asettica, una cronaca più che altro, ma certo induceva giustamente ad accusare di maschilismo intollerante gli ebrei religiosi che maltrattavano delle donne devote. Effettivamente l’atteggiamento di rifiuto degli ebrei ortodossi appare antipatico e anche incivile, ma sappiamo bene che le cose sono un po’ più complesse di come i giornalisti, forse non bene informati sul retroterra della questione, ce le comunicano.
A monte c’è, ovviamente, la rottura insanabile tra ebraismo ortodosso ed ebraismo riformato: due mondi diversi, che rispondono a visioni del mondo e logiche differenti. Da un lato la concezione tradizionalista formatasi nei secoli, che divide caratteri e ruoli tra i due generi, distribuendo le sfere di principale competenza: Bet ha-kenesset e preghiera all’uomo, casa ed educazione dei figli alla donna, senza che la prima sia necessariamente superiore alla seconda; dall’altro l’interpretazione omologante della Riforma, tesa ad annullare le differenze di obblighi e pratiche, considerate – secondo l’ottica liberal-democratica ottocentesca – una disparità e un’ingiustizia. Ma chi l’ha detto che il trattamento sia più equo nell’identità assoluta dei comportamenti e che la donna ebrea sia più emancipata se si traveste da uomo mettendo il talled e i tefillin e andando a Sefer? Come in altri settori, la piena omologazione a modelli maschili tendendo ad annullare le specificità finisce per indebolire il ruolo femminile, che ha la sua forza proprio nella diversità rispetto a quello dell’altro sesso.
La questione, in realtà, sta ancora più alla radice. Il problema è se e fino a che punto sia lecito riformulare i fondamenti di un vincolo e di un dettame religioso secondo le mutate sensibilità proprie di un’epoca o di un ambiente. È vero, il modello religioso per sua natura si adegua alla mentalità e ai costumi sociali dell’uomo, dato che la religione non è semplicemente un’idea della divinità, ma è una della modalità secondo le quali le società umane si strutturano. D’altra parte, il messaggio religioso fa per essenza riferimento a un’origine assoluta e vincolante, spezzata la quale rischia di perdere il suo carattere di religione per trasformarsi in regola sociale o politica. Questo significa forse che ogni trasformazione delle religioni è impossibile, pena l’auto-annullamento? Naturalmente no, sarebbe irrealistico affermarlo dato che tutte le religioni sono il risultato di molteplici cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli. Qui emerge di nuovo un nodo di differenziazione, dirimente nel segnare la strada di sviluppi contrapposti. Guardiamo ancora all’atteggiamento dell’ebraismo ortodosso e dell’ebraismo riformato. Nell’ambito del primo le evoluzioni interpretative e le diverse applicazioni dei precetti abbondano, ma si situano tutte all’interno della medesima tradizione di partenza senza metterne in discussione gli elementi fondamentali; esiste cioè una trasformazione interna e operativa della pratica religiosa. Nella sfera dell’ebraismo riformato, invece, pur ponendo alla base la concezione monoteistica della Bibbia e il rapporto tra Dio e il popolo di Israele, si assume il criterio che i cambiamenti possano riguardare non solo l’applicazione della norma ma l’esistenza stessa della norma e l’attualità del principio che la origina; ne consegue che in esso risultano profondamente modificati alcuni aspetti della visione del mondo e dell’uomo, nonché del rapporto tra uomo e natura e tra uomo e Dio che nell’ebraismo ortodosso hanno una carattere fondante.
Precisato questo, cioè che ebraismo ortodosso ed ebraismo riformato sono due orientamenti religiosi molto diversi e per certi aspetti inconciliabili – cosa che il servizio del tg si è guardato bene dal chiarire – , va ribadito che essi hanno entrambi i propri sacrosanti diritti. Le donne che indossano il talled e i tefillin dunque, non ebree nel senso ortodosso del termine ma tali nella accezione riformata della parola, hanno diritto di pregare davanti al Kotel, beninteso dalla parte delle donne. Va anche detto però che il loro comportamento, volto evidentemente a sollecitare l’attenzione e a suscitare clamore, appare un po’ provocatorio. La provocazione è lecita in un atteggiamento religioso? Per Kierkegaard certo sì; per l’ebraismo non so.
David Sorani