Ticketless – La città di Miriam
Cade quest’anno il ventesimo anniversario della morte di Fulvio Tomizza. La biblioteca cantonale di Lugano, che conserva le carte del suo archivio, annuncia per maggio un importante convegno. Altre iniziative spero verranno promosse in Italia e segnatamente a Trieste. Il pensiero di ricordarlo qui mi è venuto da un toccante articolo di Sofri apparso sul “Foglio” di venerdì scorso dedicato alla città di Saba, di Svevo e, aggiungo io, anche di Miriam. Rileggo volentieri in questi giorni La città di Miriam, romanzo autobiografico del 1972 che precede i capolavori, La miglior vita e Materada. Sulle orme di Una vita di Svevo, Tomizza descrive la non semplice integrazione del giovane istriano di campagna nella città della borghesia ebraica. Dietro il velo di una tenue finzione si nasconde la appassionata storia d’amore dell’autore. Tomizza sposò infatti la figlia di un eccentrico e geniale musicista dell’età di Saba e di Svevo, Vito Levi. Un po’ burbero, un po’ ipocondriaco il dottor Cohen, così nella trasfigurazione letteraria, registra le tensioni, le rabbie, gli slanci generosi della Trieste ebraica dopo la Shoah. Pochi oggi, nei molti discorsi sullo “scrivere dopo Auschwitz” si ricordano di questo libro. Nella vita vera Vito Levi fu per Tomizza un bonario Virgilio che lo guidò nei tortuosi meandri del giornalismo locale e poi, con più fortuna, negli altrettanto tortuoi meandri del mondo editoriale milanese. Tutti i libri di Tomizza, questo più di altri, mettono a nudo le contraddizioni del cosiddetto “crogiuolo” triestino, ma non chiudono le porte al valore formativo della diversità, al lievito sempre fecondo dell’interculturalità.
Alberto Cavaglion
(13 marzo 2019)