A somma zero
Che il “pensiero” suprematista (essenzialmente un confuso apparato pseudoideologico, che funge unicamente a motivare e a tentare di giustificare l’altrimenti ingiustificabile), sia divenuto uno degli spettri che si accompagnano al ritorno dei più efferati fantasmi dell’intolleranza, non è evidenza che dovesse attendere la tragedia di Christchurch per essere convalidata. Si avrà quindi tempo per ragionare sia sul network crescente di apostoli del massacro, nel nome di una falsa identità “bianca, cristiana e occidentale” intesa come un tutt’uno, sia sul substrato di deliranti convincimenti (in molti aspetti per nulla inediti) che lo alimentano. Sinteticamente, vale invece la pena di soffermarsi da subito su alcune connessioni, quanto meno indirette, che tuttavia interagiscono nel motivare l’azione di personaggi alla ricerca di un copione tanto drastico e tranciante quanto efferato. La prima di esse è lo sdoganamento non tanto del “razzismo” di senso comune (mai venuto meno nel corso del tempo) ma dell’identitarismo come asse delle politiche di certe organizzazioni che sono, oppure aspirano a diventare, forze di governo. La risposta ai dirompenti processi di globalizzazione è allora attribuita al fallace ma disastroso autoinganno di una sovranità etnica che dovrebbe magicamente mettere in ordine tutte le cose, partendo dallo sbarramento sistematico dei flussi migratori. I quali richiedono senz’altro di essere governati ma non possono né mai potranno essere rifiutati sic et simpliciter. Altrimenti la storia dell’umanità si fermerebbe, punto e basta. Discorso complesso, sia chiaro, ma non più rinviabile. Il secondo elemento sul quale riflettere è lo smarrimento dell’”uomo bianco”, ossia il suo senso di irrilevanza, comunque di declassamento, che attraversa una parte importante dei ceti medi dei paesi a sviluppo avanzato. Non che da ciò derivi necessariamente, e tanto meno in automatico, una maggiore propensione al crimine razzista, ossia alla violenza agita. Di certo, però, si consolida una specie di humus aggressivo, che incentiva – legittimandole con il ricorso al pregiudizio di senso comune – le mani assassine nel dare corso ai loro propositi (si pensi, tanto per dire, che l’assassino ha impiegato due anno di “maturazione” per arrivare a portare a termine il suo efferato gesto). Un terzo fattore è l’interscambio tra sfera virtuale e dimensione del reale. Nel delirio cospirazionista e razzista dei paranoici, le due cose si sommano fino a coincidere completamente. I social network, che il pluriomicida dei giorni scorsi ha abbondantemente usato come cassa di risonanza del suo gesto, sono evidentemente non solo uno strumento ma oramai anche una sorta di habitat ideologico, dove deliri e demenziali “visioni del mondo” si rafforzano costantemente, favorendo l’apocalitticismo e il messianesimo di chi poi mette mano al calcio del fucile. Un quarto aspetto, che merita di essere indagato, è che questa propensione al martirio testimoniale (uccido, ed eventualmente mi faccio anche uccidere, per lanciare il mio grido furioso contro un mondo meticcio e senza ordine) è tornato ad essere il cuore pulsante di una “politica” che non concepisce alcuna mediazione possibile ma solo distruzione: non c’è nulla da costruire, né da cambiare, ma solo da annientare. Il quinto passaggio, che viene spontaneo da ipotizzare, è il pensare che il suprematismo sta a ciò che chiamiamo “Occidente cristiano” così come il jihadismo sta all’ “Oriente musulmano”. Due patologie per due mondi in costante mutamento. Nessun pareggio dei conti, sia ben chiaro. Piuttosto, una mortifera specularità, basata sulle rispettive ossessioni, che trovano un comune terreno d’intesa non solo nell’esercizio della violenza più brutale ma anche nel ripugnante convincimento che colui, oppure ciò, che differisce da come mi idealizzo sia un pericolo da cancellare. Rimane un problema di fondo (e di cornice), grande come il tempo stesso che stiamo vivendo: se il diritto alle identità non rifonda la necessità di un pluralismo condiviso, dove quelle identità si conciliano tra di loro attraverso norme non solo uguali ma vincolanti per tutti, la guerra tra inciviltà è drammaticamente dietro l’angolo. Come tutti i conflitti agiti attraverso il ricorso agli atti di forza, non avrà vincitori ma solo molti vinti. E neanche i morti ne saranno al riparo.
Claudio Vercelli
(17 marzo 2019)