Mondo islamico

“L’attacco contro due moschee in Nuova Zelanda condotto da un gruppo di razzisti bianchi va condannato duramente senza alcuna esitazione. Nessuna forma di razzismo può essere tollerata, i responsabili dovranno essere puniti con il massimo rigore”.
Di fronte a un’affermazione così netta l’adesione del mondo del web è vasta ma non unanime. Un certo numero di persone aggiunge al proprio “Sì” un “ma”. Che significato hanno questi “ma”, come vengono motivati? La motivazione più ricorrente fa riferimento all’indifferenza (vera o presunta) con la quale vengono (verrebbero) accolte nel mondo islamico le analoghe stragi compiute nei confronti dei cristiani, gli attentati contro i luoghi di culto e i simboli cristiani e ebraici, lo stillicidio di atti terroristici compiuti in Occidente in nome dell’Islam.
Prima di cercare di comprendere le motivazioni di queste riserve, è bene ribadire l’utilità del web come strumento che fa emergere le correnti più o meno visibili dell’opinione pubblica e i loro mutamenti. Oggi è prevalente un atteggiamento negativo verso i social media, considerati come veicolo di estremismo e di intolleranza: è vero che questo uso del web è assai diffuso ma ciò nonostante i social media restano un grande strumento di libertà, che permette che un gran numero di notizie (e anche di opinioni) che la stampa e le TV non fanno filtrare o che addirittura censurano programmaticamente possano essere diffuse e portate a conoscenza dei cittadini.
Tornando al “ma” con cui alcuni cittadini esprimono una riserva rispetto a una condanna netta di un attentato come quello compiuto contro le due moschee in Nuova Zelanda, si scorge dietro di esso la riproposizione di una tesi che già in passato ha avuto un certo successo: quella della reciprocità. Di solito questo principio viene espresso in riferimento ai diritti e suona più o meno così: siamo d’accordo nel riconoscere ai musulmani che vivono in Occidente gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini ma allora questo stesso principio deve essere applicato anche nei Paesi islamici, dove invece ai cristiani (non parliamo poi degli ebrei) questi stessi diritti, in particolare quelli attinenti alla sfera della libertà di religione, non vengono applicati. Di solito a questa obiezione viene risposto che alcuni diritti sono inalienabili e incondizionati e non possono dipendere dal fatto che in alcuni Paesi non vengono riconosciuti o comunque non sono applicati. È una risposta che mantiene – a qualsiasi campo venga applicata – tutto il suo valore e tuttavia non appare a tutti pienamente convincente perché alla sua accettazione osta un principio molto sentito, quello dell’equità, che non tiene conto delle diversità storiche e culturali ed esprime, in fondo, l’adesione al principio che – poiché gli uomini sono uguali qualunque sia la loro appartenenza etnica o religiosa – uguale deve essere la possibilità di usufruire di diritti considerati universali.
È questo principio di equità che porta oggi un certo numero di persone ad accompagnare la propria condanna dell’attentato contro le due moschee alla richiesta – più o meno chiaramente formulata – rivolta al mondo islamico di un’analoga condanna per tutti gli analoghi atti compiuti in nome dell’Islam.
D’altra parte quando si parla di “mondo islamico” si usa un’espressione di non facile definizione. Che cosa si intende per mondo islamico? Le masse popolari, divise non solo tra sunniti e sciiti ma lungo una serie di linee di distinzione che spesso si innestano su differenziazioni etniche e culturali in alcuni casi pre-islamiche? Le élite dirigenti, ancor meno raccolte intorno a un qualsiasi progetto unificante? E anche dal punto di vista occidentale, la nozione “mondo islamico” è vaga e confusa, più costruita in negativo, come reazione alla crescita del fondamentalismo, che come consapevole definizione di una realtà definita univocamente.

Valentino Baldacci

(21 marzo 2019)