Razze e razzismo

Recentemente è stata riportata la notizia della ristampa del libro di Barbujani, Le razze non esistono. Ho insegnato Genetica per 10 anni alla Facoltà di Agraria di Torino e con cognizione di causa posso contestare questo assunto. Le razze esistono: è il razzismo che deve essere contestato e combattuto. Sarebbe come affermare che per non bagnarsi durante la pioggia occorra negare che dal cielo scenda acqua: no, quando piove scende acqua e se, in quell’eventualità, vogliamo restare asciutti, occorre proteggerci con un ombrello. Lo stesso vale per il concetto di razza: esiste e, quando è stato capito, è stato utile. Senza le razze non sarebbe nata la Genetica, con tutti i vantaggi che ha fornito alla conoscenza umana. Se i piselli fossero soltanto lisci e verdi, Mendel non avrebbe potuto scoprire le Leggi che portano il suo nome e che hanno dato inizio a tutta una serie di studi che hanno fatto progredire il mondo, fino all’attuale orientamento di terapia dei tumori per via genetica.
Occorre invece combattere il razzismo e le devianti teorie di superiorità di una razza rispetto ad altre: se voglio mangiare il riso con i piselli non posso, razionalmente, affermare che il pisello verde sia “superiore” a quello giallo e lo stesso vale per la razza liscia rispetto a quella rugosa. Leciti sono gli orientamenti del gusto, che però, sono una questione di preferenze personali, non assiomi indiscutibili.
Da cosa nasce dunque il razzismo? Dobbiamo fare un passo indietro: nell’‘800 e nel ‘900 (anche se il fenomeno affonda le sue radici nei secoli precedenti), grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, aumenta la mobilità delle popolazioni e insieme alla mobilità anche l’aggressività. È un dato di fatto che tutti gli aggressori vincenti di quel periodo siano stati di razza bianca. È difficile dare una spiegazione di questo fenomeno che però non può essere negato. Come in precedenza gli aggressori/dominatori furono a turno gli egizi, gli assiri, i babilonesi i macedoni di Alessandro Magno e i romani, così nei secoli più recenti, i “bianchi” condussero con successo politiche aggressive. L’India fu conquistata e dominata da bianchi britannici, che avevano già scacciato i “pellerossa” d’America. In Africa il dominio fu diviso tra bianchi francesi e inglesi, mentre i bianchi tedeschi e italiani avevano minor successo. Ma il successo delle aggressioni non si manifestò solo con l’ occupazione (gli Imperi), ma anche con altre forme di dominio politico-militare, come le “concessioni” imposte alla Cina e tutta una serie di “accordi” che furono imposti al declinante Impero Cinese. Tra l’‘800 e il ‘900, i paesi popolati da bianchi spadroneggiarono senza ritegno sulla maggioranza dei paesi del mondo favorendo la comparsa e la diffusione dell’idea di “superiorità” della razza bianca su tutte le altre razze del mondo. A metà degli anni ‘30 del XX° secolo Hitler, tra le sue allucinanti aspirazioni di potere, volle disfarsi degli ebrei. Il problema era quello di definire chi fossero gli ebrei. Addentrarsi in definizioni halachiche, sarebbe stato politicamente complesso e poco efficace per la politica antisemita di Hitler: ecco quindi che l’invenzione/attribuzione di razza ariana (un’elite bianca) ai tedeschi, invasori vincenti, e quella di una razza ebraica ai nemici da sterminare era la soluzione politicamente più semplice e convincente. Ciò che ne è seguito è l’aberrante tragedia della Shoah.
Proprio questa tragedia ha dimostrato, con i suoi orrori, quanto assurde e aberranti fossero le teorie razziste di Hitler.
Oggi quelle aberrazioni sono riconosciute per tali, ma l’odio verso lo straniero non è diminuito. Se il colore della pelle è differente è più facile riconoscere il diverso ed eccitare l’odio verso di lui: non è necessariamente razzismo, ma xenofobia, ammantata di razzismo.
Un racconto a parte merita invece il razzismo statunitense. Nel vorticoso sviluppo degli USA si mescolano diversi aspetti: l’orgoglio razzista (imperiale) anglosassone di cui abbiamo fatto cenno poco sopra, insieme al bisogno di mano d’opera a buon prezzo. Nell’‘800 questo bisogno divenne impellente e fu possibile soddisfarlo con l’ acquisto di mano d’opera schiava dai mercati dell’Africa. Un dato paradossale, ma inoppugnabile, è che la popolazione di colore degli USA fu salvata in Africa grazie alla schiavitù. Infatti proprio grazie all’utilità che essa rappresentava per l’economia agricola degli stati del Sud degli USA, milioni di esseri umani appartenenti a popolazioni soccombenti nei conflitti interafricani, non furono sterminati, ma venduti schiavi. La loro sussistenza in vita era un valore monetizzabile: so bene che questo è un discorso che ripugna a qualsiasi coscienza civile, ma purtroppo è una verità inoppugnabile. Gli Ebrei ungheresi non trovarono mercato, malgrado il tentativo tedesco di monetizzare le loro vite, e perirono tragicamente nella Shoah. Un milione di Tutsi furono sterminati mezzo secolo dopo la conclusione della Shoah perché “non avevano mercato”. So bene che sono constatazioni di un cinismo rivoltante, che però costituiscono una tragica realtà davanti alla quale non ha senso chiudere gli occhi. Negare l’esistenza delle razze umane non risolve i problemi: occorre capire e soprattutto far capire a tutti che che sotto la pelle di qualsiasi colore vivono esseri umani diversi, ma dotati di pari dignità. Questo è il grande compito, dalla cui realizzazione siamo ancora ben lontani, che aspetta tutti noi: giocare con le parole non basta, anzi può essere fuorviante ed allontanarci dall’essenza dei problemi.

Roberto Jona

(26 marzo 2019)