Periscopio – Il tunnel di Yehoshua
L’ultimo romanzo di Abraham B. Yehoshua, Il tunnel, rivela, ancora una volta, la mirabile capacità dell’autore di fare entrare il lettore all’interno della trama del racconto, in un un’atmosfera creata con la consueta perizia e forza di suggestione. Anche stavolta, lo scrittore ci rende partecipi in modo intimo e ravvicinato della vita quotidiana del protagonista, di cui condividiamo i gesti, i pensieri, la vita minuta, il modo di agire e di sentire. E, come nelle opere precedenti, anche stavolta la personalità del protagonista è resa anche attraverso un’attenta e minuziosa descrizione della sua attività lavorativa, le cui specifiche dinamiche fanno da sfondo e scenario della storia. È anche un mestiere, una professione, così, a diventare, in un certo senso, protagonista del racconto. E, come nelle occasioni precedenti, la scelta di tale lavoro o attività non appare casuale, ma strettamente collegata al percorso narrativo: come, ne L’amante, siamo stati introdotti nella meccanica automobilistica, in Ritorno dall’India, nel sistema sanitario, ne Il responsabile delle risorse umane, nella produzione e distribuzione del pane, in Fuoco amico, nel volontariato in Africa, così, ne Il tunnel, veniamo edotti sul complesso e affascinante meccanismo della pianificazione e costruzione della rete stradale. E, trattandosi della struttura viaria d’Israele, chiunque sia stato in quel Paese avrà modo non solo di riconoscere molti paesaggi familiari, ma anche di apprendere delle notizie di grande interesse sul modo in cui gli uomini intervengono per rendere accessibili e percorribili gli scenari naturali, anche modificandone l’assetto. Il paesaggio fisico fa da contrappunto a quello interiore, i deserti, le asperità e le contraddizioni del terreno d’Israele paiono interagire con il paesaggio interiore dei personaggi del romanzo, e degli stessi lettori, in un gioco di richiami, assonanze e rispecchiamenti condotto, indubbiamente, con grande abilità e forza di suggestione.
Ciò nondimeno, il romanzo non appare pienamente riuscito (o, comunque, non pare rientrare nel numero dei più felici del grande scrittore), a mio parere, essenzialmente per due motivi.
Innanzitutto, credo che, stavolta, il grande talento di Yehoshua non si mostri all’altezza della sua meritata fama quando affronta quello che – accanto all’ingegneria viaria e al paesaggio – figura come il secondo grande tema affrontato nel romanzo, che è quello – triste e drammatico – della demenza senile. Il protagonista del romanzo, ingegnere stradale in pensione, rientra in servizio per una specifica missione, ma si trova a svolgere il suo compito aggredito da una malattia neurodegenerativa, che lo porta, giorno dopo giorno, a perdere colpi sul piano della memoria. Ma la progressione dell’Alzheimer descritta nel romanzo non appare del tutto credibile, perché il protagonista pare conservare intatta la propria capacità di analisi e di giudizio, mentre vede cadere, pezzo dopo pezzo, la propria capacità mnemonica. Lo sgretolamento della coscienza, così, appare come un fenomeno vissuto e descritto dal protagonista in piena consapevolezza e lucidità. La memoria svanisce, ma la percezione di questo svanimento sembra restare intatta e perfetta. Chiunque abbia conosciuto qualche persona afflitta da questo male, sa bene che le cose non vanno così.
Ma non convince neanche la scelta di Yehoshua di intrecciare questo percorso di obnubilamento con una sorta di obliqua e oscura presa di coscienza del protagonista riguardo all’accidentato e frastagliato paesaggio umano d’Israele. Man mano che va perdendo la propria memoria e identità, l’ingegnere Zvi Luria pare conoscere una sorta di misteriosa ‘illuminazione’ riguardo alla sfuggente e opinabile identità delle persone che abitano il suo Paese. Chi sono? A chi appartengono? Da dove provengono, dove sono dirette? Sprofondando nel buio della coscienza, Luria sembra scoprire delle zone altrettanto buie della realtà di cui, quando era lucido, non percepiva l’esistenza. La razionalità, la lucidità appaiono, così, come degli ostacoli, delle barriere che si frappongono alla comprensione di un mondo prismatico, labirintico, ambiguo. E la demenza si presenta come una strada di oscura consapevolezza, di contorta autocoscienza: l’unica, forse, che può portare allo svelamento di un inestricabile enigma.
Una soluzione che appare, francamente – in rapporto alla peculiarità del tema trattato, quello dell’identità umana, nello spazio e nel tempo -, alquanto retorica e semplicistica. Il grande narratore sembra volerci soprattutto ricordare che la posizione degli uomini sulla Terra è complessa, e che nessuna carta d’identità può racchiudere la loro anima e il senso della loro esistenza. Ma ci pare che questo messaggio sia già stato espresso molte altre volte, a partire da Omero e Virgilio, fino a Kafka e altri (e anche dallo stesso Yehoshua, per esempio nel suo formidabile Mar Mani).
Francesco Lucrezi, storico