Golan e Gaza
Le proteste che si sono levate, in particolare da parte dell’Unione Europea, contro il riconoscimento americano dell’appartenenza allo Stato di Israele delle alture del Golan – che d’altra parte Israele aveva annesso fin dal 14 dicembre 1981 – non tengono conto di una serie di fattori.
Il primo è costituito dal fatto che i confini dei Paesi dell’area medio-orientale furono decisi in base all’accordo Sykes-Picot del 16 maggio 1916, che portò, alla fine della I guerra mondiale e dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, all’assegnazione in forma di mandati alla Francia della Siria e del Libano e alla Gran Bretagna dell’Iraq, della Transgiordania e della Palestina. I confini tracciati fra i territori affidati come mandati alla Gran Bretagna e alla Francia non tennero certo conto delle popolazioni e delle loro appartenenze etniche, d’altra parte assai labili, in aree dove il dato fondamentale era ed è l’appartenenza tribale. L’appartenenza del Golan alla Siria – che vi ha esercitato la propria sovranità per un periodo limitato (dalla fine della II guerra mondiale al 1967) – discendeva quindi da un accordo di tipo coloniale tra due potenze – la Gran Bretagna e la Francia – e non dall’espressione di volontà delle popolazioni residenti. D’altra parte né le potenze coloniali né, in seguito, gli Stati dell’area come la stessa Siria, la Turchia e l’Iraq hanno mai tenuto conto della volontà della popolazione curda di costituire una propria entità statuale nei territori da essa abitati in maggioranza.
Il secondo aspetto di cui chi contesta l’appartenenza del Golan a Israele non tiene conto è l’uso che di quel territorio hanno fatto i governanti siriani dal 1948 al 1967. Le alture del Golan sono state sistematicamente e ininterrottamente usate per colpire le città e i villaggi israeliani dell’Alta Galilea, che si trovavano esposti ai colpi provenienti dalle alture sovrastanti, nonché per impedire il libero esercizio della pesca nel lago di Tiberiade (Kinneret). Questi continui atti di aggressione hanno poi raggiunto il culmine in occasione delle guerre scatenate dagli Stati arabi contro Israele: il Golan è stato il punto di partenza di tutti i tentativi siriani di invadere Israele da nord, sia durante la Guerra d’Indipendenza (1948/1949) sia in quelle successive, in particolare durante la guerra dei Sei giorni (1967), il cui esito determinò il cambiamento dei rapporti di forza alla frontiera nord di Israele. Ma anche nell’ultima guerra scatenata dagli Stati arabi contro Israele – la guerra dello Yom Kippur (1973) – di nuovo le truppe siriane cercarono di invadere la Galilea dopo aver tentato di rioccupare il Golan, e anche in questa occasione uscirono sconfitte.
Il terzo aspetto di cui l’Unione Europea dovrebbe tener conto è il quadro complessivo degli equilibri in Medio Oriente. Oggi il Medio Oriente è caratterizzato dalla presenza di due potenze dinamiche – l’Iran e la Turchia, sostenute dalla Russia – che cercano di alterare gli equilibri esistenti con l’obiettivo (nel caso dell’Iran apertamente proclamato) di distruggere lo Stato d’Israele e di far cadere le leadership moderate degli Stati arabi del Golfo, che tentano invece di trovare la via di una collaborazione regionale con lo Stato ebraico. La Siria si trova ad essere in questo momento al centro di questo scontro. La vittoria di Assad nella guerra civile appare in realtà molto fragile, essendo dovuta in alcune zone all’aiuto non disinteressato della Russia, e in altre all’apporto determinante dei curdi, a cui il regime siriano, d’accordo con quello turco, rifiuta di accordare alcun riconoscimento. La Siria appare perciò tutt’altro che pacificata e continua a essere, anche se indebolita, una minaccia permanente per Israele, con il quale ha sempre rifiutato di iniziare trattative di pace, nell’ambito delle quali poteva essere stabilito il destino del Golan. Non c’è quindi da stupirsi se in questa situazione Israele e il suo alleato americano vogliano chiarire una volta per tutte che il confine nord è intangibile e che non saranno accettate nuove aggressioni provenienti da quel lato.
Questa esigenza di sicurezza è ancora più pressante di fronte alla rinnovata aggressività di Hamas, che dalla Striscia di Gaza non si limita più soltanto a far sentire ogni venerdì – quasi ritualmente – la sua presenza al confine meridionale di Israele con i lanci di razzi e i tentativi di sfondare la barriera di protezione che separa Israele dalla Striscia.
Il lancio – per la seconda volta in pochi giorni – di un razzo che ha colpito una casa a Mishmeret, a nord dell’area urbana di Tel Aviv – in questo ultimo caso con esiti particolarmente gravi – evidenza la volontà di mettere in atto una escalation destabilizzante, nel momento stesso in cui si moltiplicano gli attentati con l’uso del coltello contro militari israeliani. Anche questa situazione alla frontiera sud di Israele rafforza l’esigenza di stabilizzare definitivamente la situazione alla frontiera nord.
Questa esigenza sarebbe ancor più rafforzata se il Governo israeliano tenesse nel debito conto le richieste dei drusi, che rappresentano una parte significativa della popolazione del Golan. Come si sa, i drusi hanno sempre manifestato piena lealtà allo Stato d’Israele, fino a giungere a coprire ruoli significativi nell’esercito; hanno però espresso il loro scontento nei confronti della recente Legge fondamentale sullo Stato-nazione del popolo ebraico, che altererebbe lo status delle minoranze presenti in Israele, tra le quali, appunto, quella drusa. Un dialogo con i rappresentanti della popolazione drusa sarebbe – in un momento così delicato – sicuramente auspicabile.
Valentino Baldacci