Dalla Genesi all’Israele di oggiL’impegno ecologico dell’ebraismo
Ecologia valore chiave della tradizione ebraica, sin dal Principio. Ovvero, la Genesi. A dimostrarlo, fa notare rav Gianfranco Di Segni, una molteplicità di fonti. “La salvaguardia dell’ambiente è certamente un valore ebraico. Si evince chiaramente cominciando da Bereshit, dalla Creazione: Adamo ed Eva non vengono forse posti nel Giardino dell’Eden per ‘lavorarlo e custodirlo’ (Genesi 2-15)?”. Il rabbino spiega come non si faccia fatica a comprendere che il primo uomo e la prima donna rappresentino tutto il genere umano, mentre l’Eden incarni l’intero pianeta. “A noi spetta dunque il compito di ‘lavorarlo’, che va inteso come coltivarlo e in generale migliorarlo, ma anche proteggerlo e mantenerlo integro per le prossime generazioni: è il primo precetto comandato da Dio alla prima coppia umana”.
Il rav, docente del Collegio Rabbinico Italiano e ricercatore presso il Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr), ricorda anche un altro importante divieto, quello di abbattere gli alberi da frutto di una città assediata, ‘Bal Tashchit’, contenuto nel Libro di Devarim (Deuteronomio, 20:19). “I nostri Saggi hanno tratto da questo specifico versetto l’obbligo di evitare qualsiasi tipo di distruzione inutile, che comprende anche gettare cartacce per terra. E penso si possa vedere anche come un ammonimento contro il consumismo esasperato che porta alla creazione di un incredibile numero di rifiuti”. Esistono anche ulteriori prescrizioni che ricordano l’importanza per esempio del verde pubblico, in vere e proprie istruzioni di pianificazione urbana. “Nelle città da costruire per i Leviti per esempio è specificato ci dovesse essere un vero e proprio anello verde, uno spazio aperto, tutto intorno. Un’indicazione che va presa a modello per ogni centro” conclude il rav. “Penso sia importante e opportuno che questo tipo di valori facciano parte dell’educazione ebraica e del modo in cui conduciamo le nostre vite e le nostre Comunità”.
“Bisogna essere ciechi per non vedere l’ambientalismo come un valore al cuore della tradizione ebraica” ribadisce il rabbino israelo-americano Daniel Landes, direttore di Yashrut, organizzazione ebraica devota “a promuovere un dibattito pubblico di civiltà attraverso una teologia di integrità, giustizia e tolleranza”, che torna sulla descrizione della Creazione. “Due parole ricorrono continuamente ‘Ki tov’, ‘era buono’”, sottolinea il rav ricordando il modo in cui più e più volte Dio si ferma a osservare quanto formato e così lo giudica. “Non dobbiamo mai dimenticare che, se il Signore è il Creatore, il mondo è la sua Creazione. Il grande rabbino tedesco Samson Raphael Hirsch (1808-1888 ndr) era noto per essere uno studioso serio e rigoroso. Un giorno, quando era già anziano, un gruppo dei suoi studenti lo incontrò alla stazione, pronto a prendere un treno verso le Alpi, e se ne stupì. ‘Perché Maestro?’ gli domandarono. ‘Ho paura che quando incontrerò il mio Creatore, mi domanderà ‘Hai visto le mie Alpi’ fu la risposta. Non è stato il solo. Tanti, anche tra gli studiosi impegnati nelle più sofisticate e profonde questioni legali e talmudiche, hanno dato importanza al passare del tempo a contatto con la natura”. Rav Landes mette l’accento anche sulla straordinarietà della proibizione di distruggere gli alberi da frutto. “Parliamo di una situazione di emergenza, quella di una guerra, una guerra per la sopravvivenza, che è necessario vincere. Eppure anche in un caso del genere, non ci può distruggere ciò che Dio ha creato”. C’è poi un altro importante precetto essenziale che il rabbino ricorda, quello di preservare attentamente le proprio anime (Devarim 4:15). “Badare alla propria salute, non fare cose che potrebbero avere effetti suicidi: tutti abbiamo ben chiara l’importanza della medicina, e oggi esistono per esempio ospedali ebraici, medici, filantropi che a questa missione dedicano tutte le loro risorse. Ma qual è la più grande emergenza per la salute umana se non quella ambientale?”, sottolinea il rav, che poi conclude “Sono orgoglioso che questi principi facciano parte della tradizione ebraica e penso che di recente esista un risveglio su questi temi. Abbiamo compreso presto cosa significa osservare i comandamenti sulla kasherut o su Shabbat, forse all’ambientalismo abbiamo tradizionalmente dato un’interpretazione più limitativa, ma penso che la consapevolezza della sua centralità stia crescendo”.
Nel trattato talmudico di Ta’anit di recente pubblicato con la traduzione in italiano nell’ambito del Progetto Talmud per i tipi di Giuntina, si racconta un episodio della vita di un Maestro, Honi (23a) che un giorno vede un uomo piantare un albero di carrube. “Quanto ci vorrà perché dia frutti?” domanda Honi. “Settant’anni”. “Sei sicuro che sarai ancora qui fra settant’anni?” “Quando sono arrivato in questo mondo ho trovato alberi di carrube. Così come i miei antenati li hanno piantati per me, io li pianto per i miei figli” la risposta dell’uomo.
Se la storia di Honi rappresenta un’altra fonte importante per capire l’approccio della tradizione ebraica nei confronti del rapporto con la natura, il rabbino ed economista esperto in energie rinnovabili Julian Sinclair, in un intervento sul magazine ebraico americano Mosaic intitolato “Quanto è ebraico l’ambientalismo ebraico” ricorda come la vicenda rischi di essere interpretata in modo eccessivamente semplicistico se si dimentica il contesto in cui è posta.
“È facile capire perché agli ambientalisti ebrei piaccia questa storia – sottolinea il rabbino – è un messaggio potente di responsabilità attraverso le generazioni. Piantare alberi lega insieme passato e futuro. L’uomo sente di dover ripagare il generoso impegno dei suoi antenati, di cui beneficia, attraverso azioni simili di altruismo verso i discendenti non ancora nati. La morale è facile da trarre, esattamente come siamo arrivati in un mondo benedetto da miriadi di specie di flora e fauna, abbondanti risorse naturali e un clima benefico, così, allo stesso modo dovremmo agire per trasmettere questa benedizione ai nostri nipoti. Ora va a persuadere il tuo rappresentante al Congresso”.
Tuttavia la storia prosegue. Honi che dopo la conversazione si siede a mangiare un panino, poi si addormenta per settant’anni. Quando si sveglia vede l’uomo raccogliere i frutti e gli domanda se sia colui che ha piantato l’albero. “No sono suo nipote”, la risposta. “Sembra io abbia dormito per settant’anni” esclama Honi, prima di notare che il suo asinello nel frattempo si era riprodotto, generando molti asini. Poi si reca a casa sua e domanda se suo figlio sia ancora vivo. “No – gli rispondono – ma suo nipote lo è”. “Io sono Honi” annuncia allora, ma non gli credono. Così va alla Casa di studio, dove sente uno dei rabbini citare i suoi insegnamenti con venerazione. Ma ancora una volta quando prova a entrare e presentarsi, rispondendo a ogni quesito posto dai Maestri, non gli credono, né gli dimostrano rispetto. Così Honi rimase sconvolto. Poi pregò per la liberazione dal dolore e morì.
“Tutte le raccolte di fonti sull’ambientalismo ebraico che che mi sono noti tagliano la storia al manifesto del piantatore degli alberi, prima che Honi mangi il pranzo e faccia il suo gigantesco sonnellino. E cosa ne è del seguito, assai più complesso? Settant’anni dopo, Honi apprende la sua responsabilità verso le nuove generazioni non soltanto dal carrubo. Il suo asino si è riprodotto, incontra i suoi discendenti, ascolta la sua eredità intellettuale” prosegue rav Sinclair. “Il Talmud non pare riconoscere ‘l’ambiente’ come una realtà distinta, governata da regole uniche per quanto riguarda il suo trattamento. Invece insegna una lezione sulla sostenibilità a lungo termine che include la natura e molto altro: la famiglia, lo studio della Torah e altri investimenti che richiedono più dello spazio di una vita mortale per realizzarsi”.
Piantare alberi, promuovere l’agricoltura, far fiorire il deserto sono stati anche valori alle fondamenta del sogno sionista. Tanto da fondare un’organizzazione a questo scopo, il Keren Kayemet LeIsrael, che da oltre un secolo persegue questa missione, al punto da essere considerata da molti pioniera delle future organizzazioni ambientaliste.
“Centodiciotto anni di storia. Una storia iniziata prima della nascita dello Stato di Israele. Il KKL è spesso solo sinonimo di alberi o di donazioni attraverso il famoso ‘bossolo’. Ma il KKL è molto di più – spiega il presidente del braccio italiano Sergio Castelbolognesi – Fondato nel 1901, il Keren Kayemeth LeIsrael è la più antica organizzazione ecologica al mondo che da oltre un secolo opera a beneficio dello sviluppo e del rimboschimento della Terra di Israele. Dall’acquisto allo sviluppo e gestione delle terre, la visione dei primi pionieri si è catapultata in nuove realtà. Siamo leader nello sviluppo di tecnologie e competenze in molteplici settori: dall’agricoltura alla selvicoltura, dalla ricerca scientifica, alla lotta alla desertificazione, sino al trattamento e allo sfruttamento delle risorse idriche. Il KKL viene riconosciuto a livello internazionale come fonte di scambi operativo alla risoluzione di vari problemi ambientali in tutto mondo”. Castelbolognesi ricorda anche l’impegno che ha portato alla nascita di numerosi Centri di Ricerca e Sviluppo. “Un traguardo che vede le eccellenze israeliane come vetrina per il resto del mondo. Un fiore all’occhiello che donerà benefici alle future generazioni. Il KKL rappresenta le radici, il tronco e i rami da cui è nato il frutto. Prima ancora che vi fosse uno stato, ha trasmesso una visione e una fede a un popolo frantumato e sperso, ha tracciato il cammino per la sua realizzazione. Il KKL trae la propria forza morale e materiale dalla sua capacità di mobilitare l’intero mondo ebraico come noi in Italia per diventare il suo rappresentante nella sua patria naturale, la Terra di Israele”.
Rossella Tercatin