Villa Emma, Memoria con l’arte
Svariate decine di progetti in lizza da più città italiane, europee ed extraeuropee, per dar forma a un luogo che conservi nel tempo il ricordo dei ragazzi ebrei che trovarono ospitalità a Villa Emma a Nonantola, in provincia di Modena, tra l’estate del ’42 e la primavera del ’43. Una competizione partecipata e ad alto livello qualitativo quella che ha visto prevalere lo Studio Bianchini e Lusiardi Associati di Cremona, con un progetto che si fonda sul raddensamento, fisico e simbolico, dei percorsi e delle relazioni umane che ebbero per protagonisti i 73 giovani accolti nel comune emiliano e da lì aiutati a scappare in Svizzera dopo l’otto settembre. Un itinerario artistico segnato da piccole seggiole, “simbolo di accoglienza e ospitalità per eccellenza, realizzate in bronzo e collocate nelle vicinanze di alcuni punti chiave della vicenda”.
Questo l’esito del concorso “Davanti a Villa Emma”, arrivato negli scorsi giorni alle battute finali con la premiazione dei vincitori e l’inaugurazione di una mostra che ha messo insieme tutte le proposte presentate. Tra i partecipanti, assieme ai rappresentanti istituzionali locali e regionali, al direttore della Fondazione Villa Emma Fausto Ciuffi, la presidente UCEI Noemi Di Segni, il direttore della Fondazione Cdec Gadi Luzzatto Voghera e Adachiara Zevi in qualità di presidente di giuria della competizione.
Sei anni di lavoro tra ricerca, convegni e seminari di studio. Quindi il bando e l’individuazione di un vincitore. Queste le tappe che hanno condotto agli ultimi appuntamenti, punteggiati da incontri e bilanci provvisori di un’attività “che intende continuare, discutendo con la comunità di Nonantola, con rappresentanti delle istituzioni, con i protagonisti della progettazione architettonica e con i collaboratori su ciò che resta da fare e sul cammino che porterà davanti a Villa Emma”.
“È stata una bella sfida” ha sottolineato Zevi nel suo intervento. “In tempi di bulimia memorialistica, ma anche al cospetto di altissimi esempi di architetture e opere d’arte dedicate alla Memoria, solo in zona basti pensare al Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale di Carpi, al Museo per la memoria di Ustica a Bologna e al Meis di Ferrara, inventare un dispositivo che traducesse in forme e spazi originali una storia speciale, unica nella sua complessità e articolazione, non era affatto scontato”.
A vincere il “non edificio” di “Riccardo Bianchini e Federica Lusiardi. “Non edificio in tre accezioni: la rarefazione del confine, dunque la trasparenza dell’involucro che lo rende permeabile alla campagna circostante; l’adozione del legno come materiale costruttivo, il riferimento alla sukkah in quanto archetipo di riparo temporaneo ma, soprattutto, il dinamismo degli elementi strutturali, i pannelli che supportano la documentazione, girevoli lungo le traiettorie che additano i luoghi di provenienza e di approdo dei ragazzi”.
“Sotto la grande copertura, in parte opaca in parte trasparente, attraversata dalle stesse traiettorie, ‘l’architettura si frammenta e disarticola nella dorsale centrale, alcuni setti si spostano, altri ruotano coerentemente con le direzioni dei luoghi, vicini e lontani, disegnando così un margine ibrido e non definito’. È una struttura che, nella sua leggerezza e adattabilità, riflette la discrezione con cui il paese e i suoi abitanti hanno elaborato nel tempo la memoria di questa vicenda: prima inglobandola nella Resistenza, poi marginalizzandola, forse per non farne presuntuosamente un vessillo di identità”.
(3 aprile 2019)