Periscopio – Gerusalemme
Riguardo alle recenti affermazioni di papa Francesco a proposito di Gerusalemme, nelle quali si è ribadito che la città santa appartiene a tutte le fedi, che nessuna di esse deve prevalere sulle altre o essere esclusa o emarginata, credo che occorra distinguere il significato letterale delle parole da quello che esse vorrebbero invece dire, forse, in forma indiretta o allusiva.
Se ci si ferma al primo livello – che pare essere di natura squisitamente religiosa – c’è poco da commentare, non si può non essere del tutto d’accordo. Tutte le religioni, a Gerusalemme come dovunque, devono avere uguale e perfetta dignità, tutti i luoghi santi, a Gerusalemme come dovunque, devono essere liberamente accessibili a tutti i fedeli, di qualsiasi culto. Anzi, io, da non credente, sarei ancora più radicale di Papa Bergoglio, perché credo che Gerusalemme non sia solo dei credenti, ma di tutti gli uomini del mondo, atei ed eretici compresi. Se un frate o un rabbino mi impedissero di entrare in una chiesa o di accostarmi al Kotel, mi sentirei offeso (per fortuna non accade mai), così come mi dispiace (e accade invece quasi sempre) quando mi impediscono di entrare in una moschea, perché “only Muslims” (ma pazienza, sopravvivo). Il papa ha detto quindi una cosa giusta, anzi ovvia. Sono del tutto d’accordo, Gerusalemme è di tutti, è anche mia, non è solo dei cittadini d’Israele.
Sorgono però due domande.
La prima: perché il papa ha detto quel che ha detto proprio e soltanto per Gerusalemme, che è un modello raro e irraggiungibile di pluralismo religioso, attentamente difeso, giorno per giorno, dalle autorità statali? Forse le chiese e le sinagoghe in Arabia, Siria, Yemen, Iran godono di altrettanta libertà?
Seconda domanda: come mai questa raccomandazione arriva oggi, che è l’unico tempo, nella storia millenaria di Gerusalemme, in cui la libertà di culto è garantita? Quali dichiarazioni sono giunte dal Vaticano, per esempio, nel recente periodo della sovranità hascemita su Gerusalemme, quando dei soldati armati vigilavano costantemente innanzi al Muro Occidentale, controllando attentamente i pochi stranieri che vi si avvicinavano, per scacciarli bruscamente – o peggio – ove mai avessero osato fare il gesto di sfiorare quelle pietre, mostrando così di essere, addirittura, Dio non voglia, ebrei?
Un silenzio tombale. Eppure la Santa Sede conosceva bene la situazione, Papa Montini si recò in visita ufficiale a Gerusalemme proprio in quegli anni, nel 1964, e non disse nulla, nulla di nulla. Strano, sarà stata una dimenticanza.
Un appello sulla libertà di culto a Gerusalemme sarebbe stato sacrosanto, doveroso, indispensabile fino al 1967, eppure non c’è stato. Oggi non si capisce a cosa serva, cosa voglia dire. Sorge quindi il legittimo sospetto che il vero significato delle dichiarazioni sia stato un altro, ossia un implicito messaggio politico, volto ad affermare che Gerusalemme non deve essere la capitale d’Israele.
Ove mai fosse così, ne prendiamo atto. Ricordando, però, che tutte – non alcune: tutte – le posizioni politiche assunte dalla Chiesa in passato – da Costantino in poi – sono state poi ritirate, in quanto giudicate – dalla stessa Chiesa – palesemente errate. Qual è stata, per esempio – a proposito di capitali -, per ben 59 anni – dal 1870 al 1929 – la posizione del Vaticano su Roma capitale d’Italia? E se oggi lo Stato italiano volesse restituire Roma al Vaticano, come risponderebbe la Chiesa? Accetterebbe? O risponderebbe, piuttosto: no, grazie, non ci serve più, abbiamo cambiato idea?
Nessun problema, dunque. La Chiesa, in politica, non è infallibile, può cambiare (anzi: cambia sempre) idea. La cambierà anche su Gerusalemme, è sicuro. Occorre solo pazientare, perché i suoi tempi, com’è noto, non sono rapidissimi.
Francesco Lucrezi, storico
(10 aprile 2019)