In fila per Pesach
Ah no, quest’anno mi ero preparata per tempo, memore delle esperienze pregresse, a seguito delle quali ho fatto un corso tenuto da un gruppo di fashion addicted (mi scuso per l’anglicismo, ma definisce la categoria) – quelli per intenderci che quando deve uscire il nuovo modello di telefono cellulare o quando c’è il Black Friday accorrono davanti ai negozi la sera prima armati di sacco a pelo, vettovaglie e generi di primo soccorso, per trascorrere la notte all’addiaccio ed essere pronti all’apertura degli esercizi commerciali al fine di acquistare, acquistare, acquistare. Un po’ come i contradaioli senesi nostrani che occupano il colonnino di piazza la sera prima del Palio, insomma. Questo ancora non lo posso fare, troppa prole al seguito da accudire, anche se devo ammettere che la cosa avrebbe un forte impatto, bivaccare tutti insieme davanti ai locali comunitari per una nottata motzè Shabbat in vista dell’inizio settimana e della vendita dei prodotti prenotati per Pesach. Certo, ci sarebbe poi da risolvere il problema della sicurezza generosamente fornita dai militari dell’Esercito, che non capirebbero forse la cosa (e non credo rientri nell’Intesa). Insomma, troppo complicato. Quindi ho optato per l’opzione numero due, approfittare della lezione settimanale di Talmud Torà per ritirare anche i prodotti ordinati per Pesach, come si dice un viaggio e due servizi. Ovviamente ricordando di presentarmi per tempo, ovvero due ore prima dell’inizio della consegna (un po’ come andare dal medico insomma, dove la lunghezza della fila di vecchiette in attesa è direttamente proporzionale al numero di ore che mancano all’arrivo del dottore). E non dimenticando di trovare una sistemazione per i bambini, non come quell’anno che per accompagnarne uno al bagno ho perso il posto nella fila in cui ero da un’ora, dovendo poi ricominciare come al gioco dell’oca – a questo proposito, mi sono ripromessa anche di organizzare un club di mamme con babisitteraggio incluso. Ho pure tenuto in considerazione il fatto che, pur finendo il Talmud Torà ad una certa ora, ed iniziando a quell’ora medesima la distribuzione, e sebbene avessi progettato di presentarmi con almeno un’ora di anticipo, avrei potuto correre il rischio di ritardare – ed ho quindi stilato un piano di emergenza degno della protezione civile, in modo che la prole non attendesse, spaesata e sola, in strada. E invece… nulla, ero la prima in fila, sola, tant’è vero che sentendomi un tantino sciocca mi sono ripresentata solo dieci minuti prima dell’apertura. Nessuna fila neppure allora, ero la prima in attesa. Poi sono stata impegnata comunque un’oretta buona, con almeno un paio di persone affaccendate tra lista da controllare e prodotti da rintracciare, cancellare dall’elenco, stivare in capaci scatoloni. Ma quale senso di vaga inquietudine: dove sono finiti tutti? Nessuno a conversare, discutere, polemizzare sull’assenza di una certa marca di biscotti nostrani, pare secondo i complottisti (quelli ci sono sempre) volutamente esclusi dagli acquisti per una differente concezione di kasherut piuttosto che per la nascita di cartelli e gruppi di interesse avversari. O quando era finito subito il kren, e si era formato il partito dei (pochi) askenaziti e simpatizzanti, i quali lo avevano interpretato come uno sgarbo a loro danno. Ho deciso, il prossimo anno rifaccio tutto come prima, voglio la fila di vecchiette (e non), il chiacchiericcio, e le incognite della lunga attesa, ascoltando ricette di Pesach e generiche conversazioni sulla crisi in Medio Oriente: non si sa mai che non impari anche qualcosa di interessante.
Sara Valentina Di Palma