Israele, una “medina” o forse più
Da qualche parte lessi che “medinà”, il termine con cui nell’ebraico moderno viene indicato lo ‘stato’, proverebbe, invece che direttamente dall’aramaico, dall’arabo “medina” per città, e tramite l’ebraico medievale di Al-Andalus avrebbe acquistato poi il significato attuale. Dunque, la “medina”, come la Polis greca, diventa un po’ una città-stato, e nel caso di Israele considerate dimensioni e senso d’appartenenza è un termine che potrebbe ben rimandare a questa presunta origine. Nel linguaggio politico israeliano il termine “stato” compare molto più spesso che in Occidente ed indica quindi per antonomasia Israele e la sua società. Gli israeliani si sono sempre sentiti fortemente legati alla storia e alla fondazione dello stato come se ognuno vi avesse in misura minore o maggiore comunque contribuito.
I risultati delle ultime elezioni sembrano però aver rivelato un paese molto più frammentato del solito politicamente, diviso in vari blocchi che riflettono l’appartenenza culturale/sociale/religiosa, e dove la geografia elettorale cambia radicalmente nel giro di pochi chilometri. Per esempio, a Tel Aviv le forze di centro e di sinistra – Kahol Lavan, Meretz e Ha’avodah – hanno preso il 64% (cinque punti percentuali in più rispetto al 2015), mentre a Yerushalaim toccano a malapena il 18%. Una differenza socio-culturale che certo la potrà notare anche un semplice visitatore che per la prima volta si reca in Israele spostandosi tra le due città, ma che a maggior ragione dovrà tener presente la nuova coalizione di governo che si formerà nei prossimi giorni. Soprattutto per evitare il rischio che da una sola “medinà” si vadano a formare due o più “medinot”.
Francesco Moises Bassano