Visioni e divisioni
Qualche giorno fa, a commento delle elezioni comunitarie torinesi svoltesi domenica scorsa, è stata proposta l’immagine di una comunità che “continua ad avere due anime ancora differenti: da una parte la Keillah come centro aggregante di concezioni anche molto diversificate dell’ebraismo e dell’essere ebrei, dall’altra la Keillah come luogo di incontro nel rafforzamento e nella valorizzazione della tradizione ebraica italiana.” Una distinzione apparentemente molto netta, che però, a mio parere, diventa infinitamente meno chiara quando si tratta di tradurre queste definizioni teoriche nella realtà quotidiana della vita comunitaria. E non ho potuto fare a meno di domandarmi: ma se la distinzione tra le due anime della comunità è così chiara ed evidente, come si spiega il fatto che in più occasioni i due gruppi che hanno poi dato vita alle due liste contrapposte avessero offerto la candidatura alle medesime persone? Sinceramente dubito molto che tutti coloro a cui è stato proposto di candidarsi nella lista Anavim si riconoscano davvero nella concezione della “Keillah come luogo di incontro nel rafforzamento e nella valorizzazione della tradizione ebraica italiana” contro quella della “Keillah come centro aggregante di concezioni anche molto diversificate dell’ebraismo e dell’essere ebrei.” Anzi, almeno una di queste persone mi ha confermato esplicitamente di non riconoscersi in questa definizione.
Alla fine le elezioni si sono concluse con un pareggio che non scontenta nessuno. Intanto, però, la presenza di due liste contrapposte – per quanto la differenza tra le due potesse essere più o meno chiara – non ha mancato di produrre effetti; perché se esiste una distinzione tra “noi” e “loro”, se c’è la possibilità che alla fine emergano con evidenza un vincitore e un perdente, è chiaro che bisogna fare di tutto perché i “nostri” non siano i perdenti. Altrimenti si corre il rischio di sentirsi rinfacciare la sconfitta per i prossimi quattro anni. Dunque tocca darsi da fare anche quando ci sembra che tra i “nostri e i “loro” non ci sia poi una grande differenza. E allora via con la propaganda, gli aperitivi elettorali, volantini rosa contro volantini azzurri, fotografie di candidati sorridenti – da soli o in gruppo con lo sfondo delle torri del tempio – che elencano le proprie molteplici esperienze lavorative e nell’ambito del mondo ebraico. E ancora telefonate, discussioni, appelli, messaggi e mail con l’invito a “votare bulgaro” (cioè a scrivere tutti i nomi dei candidati di una lista). E nei giorni successivi alle elezioni, trattandosi di piccoli numeri e di scarti quasi nulli, ancora discussioni su chi avrà votato cosa, se Tizio avesse votato Caio e non Sempronio, se questo avesse avuto due voti di più, se quello avesse avuto tre voti di meno, avremmo potuto vincere, avremmo rischiato di perdere, ecc.
Ne è valso davvero la pena? Sono state energie ben spese? Inutile domandarselo, tanto ormai sono state spese. Ci si potrebbe chiedere, forse, se tutto questo abbia fatto bene o male alla vita della comunità, se la contrapposizione sia stata efficace per appassionare di più gli iscritti e avvicinare i “lontani”, oppure abbia contribuito a farli scappare. Chissà se senza l’adrenalina della competizione la già bassa percentuale dei votanti sarebbe stata ancora più bassa o se invece la litigiosità non crei disagio in chi non sa bene da che parte schierarsi e non capisce nemmeno bene quali siano gli schieramenti. Personalmente non so rispondere a queste domande. Mi limito ad augurare buon lavoro al nuovo Consiglio.
Anna Segre