Pesach e il ruolo del lievito
Sembra che i primi a sviluppare la tecnologia della lievitazione per produrre il pane (e il vino) siano stati gli egizi. I due compagni di sventura di Giuseppe nella prigione del Faraone erano il coppiere ed il panettiere. Entrambi addetti a funzioni collegate alla lievitazione: la produzione del vino e quella del pane. Nella Torà si dà credito a Noè per la scoperta del vino, ma del pane non si parla. Entrambi hanno bisogno del lievito per essere prodotti. Ma come si attua la produzione? Tralasciamo i nostri tempi quando disponiamo di inneschi di origine industriale per entrambe le tecnologie. Se prendiamo i grappoli di uva maturi (e quindi ricchi di zuccheri), li spremiamo e lasciamo il miscuglio liquido a riposo in un recipiente aperto, dopo poco tempo questo comincerà a ribollire: è la fermentazione alcolica che porta alla produzione del vino. Se però laviamo accuratamente i grappoli prima di spremerli la fermentazione non parte. Perché ? La spiegazione è semplice: le gocce di pioggia cadendo nel vigneto schizzano fango sui grappoli. E nella terra sono contenuti i lieviti responsabili della fermentazione. Con il lavaggio si rimuovono gli schizzi di fango e quindi anche i lieviti e il processo fermentativo non ha inizio.
Per la preparazione del pane l’origine è leggendaria, ma per certi versi simile e risale all’antico Egitto intorno a 2500 a. E.V. Pare infatti che, durante un’esondazione del Nilo, della farina conservata in un magazzino presso il fiume – a contatto dell’acqua – diventasse un impasto. Esso, a seguito delle particolari condizioni di temperatura e di umidità dell’ambiente, divenne terreno di coltura dei microrganismi, presenti nell’aria o più probabilmente nell’acqua del Nilo, che moltiplicandosi ne alterarono l’aspetto rigonfiandolo.
Per non buttare questa farina, fu miscelata ad altra fresca e il pane così ottenuto risultò essere più gustoso e digeribile rispetto a quello senza lievito prodotto fino ad allora! Da un incidente del genere all’impiego ripetuto e regolare il passo fu breve e pur non comprendendo le cause il meccanismo della lievitazione del pane divenne prassi costante. Occorreva attendere una quarantina di secoli perché Louis Pasteur riuscisse a svelare la natura “microbica” del processo che per millenni era stato considerato frutto di magìa. Ai tempi dell’Esodo la tecnologia doveva essere ben nota e stabilita perché nella Torà si dice che uscendo dall’Egitto gli Ebrei “presero la loro pasta prima che lievitasse”.
Da studioso di microbiologia agraria, mi sono sempre chiesto perché il rigetto del lievito non sia completo ed assoluto: il vino è il risultato della fermentazione del succo d’uva proprio grazie a quei lieviti che sono banditi durante tutto il periodo di Pesach: ma con il frutto della vite fermentato grazie a quei lieviti noi santifichiamo la Festa, proprio all’inizio del Seder, poche ore dopo aver eliminato il hametz (Bi’ur Hametz). Ma, spiega Rav Somekh, se c’è apparente contraddizione microbiologica, non c’è contraddizione halachica: i nostri maestri non avevano il microscopio e Pasteur sarebbe arrivato molti secoli dopo. Il criterio adottato nella halachà è quello dell’origine del lievito, cioè il cereale da cui si poteva prelevare l’innesco: solo se deriva dai 7 cereali vietati è hametz. Quindi il succo d’uva è importante non sia contaminato da particelle dei 7 cereali, ma di per sé anche se fermentato non è hametz.
Vi è poi un altro aspetto interessante a proposito della contrapposizione tra Hametz e Matzà. A Pesach la motivazione è chiaramente storica, ma perché l’offerta di sacrifici farinacei doveva essere sempre (salvo un paio di eccezioni specifiche) di matzot (quindi non lievitate) piuttosto che del più gustoso pane anche al di fuori di Pesach? Rav Somekh dà un interpretazione morale perché, sostiene, la pasta rigonfiata dal lievito richiama i peggiori sentimenti e comportamenti dell’Uomo quando si gonfia di superbia e di ogni altro sentimento negativo, mentre la matzà prodotta semplicemente con due grandi doni del Signore, l’acqua e la farina derivata dal frumento, rappresenta la semplicità e la purezza dell’animo devoto.
Da tecnico vorrei avanzare un’ipotesi più semplice (che si può propriamente definire “terra-terra”): abbiamo visto poc’anzi qual’è l’origine del lievito: il fango. In aggiunta, la fermentazione ha anche l’aspetto di un ammaloramento del prodotto. Offrire al Signore un prodotto di origine così “sporca” poteva forse sembrare irrispettoso e contrario alle intenzioni dell’offerente.
Roberto Jona, agronomo
(nell’immagine, granuli di amido di frumento osservati al microscopio con luce polarizzata)