Carlo Cattaneo, maestro di libertà
Carlo Cattaneo, patriota, filosofo, politico, scrittore e soprattutto maestro di tolleranza e libertà. A dare un quadro del ruolo del milanese Cattaneo, nell’anniversario dei 150 anni dalla sua morte, un convegno organizzato nella prestigiosa Sala Alessi del Comune di Milano dal Centro Studi Gaetano Salvemini, con il patrocinio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. “È importante celebrarlo qui: Cattaneo fu un milanese, un italiano, un cittadino europeo, un esempio di fiducia nell’integrazione dei popoli”, ha ricordato in apertura l’assessore alla Partecipazione Lorenzo Lipparini, riportando anche i saluti del sindaco Giuseppe Sala. A portare i saluti dell’UCEI, il vicepresidente Giorgio Mortara mentre per la Comunità ebraica milanese è intervenuto il copresidente Milo Hasbani mentre oratori dell’evento sono stati Gianmarco Pondrano Altavilla del Centro Studi Gaetano Salvemini, Carlo G. Lacaita del Comitato italo-svizzero per la pubblicazione delle opere di Carlo Cattaneo, Giovanni Luseroni dell’Università degli studi del Molise e Davide Cadeddu dell’Università degli Studi di Milano.
“La comunità ebraica è una componente vitale e integrata nel tessuto di questa città e dell’Italia, come ricordò Cattaneo”, ha sottolineato l’assessore Lipparini. Alla lotta contro le vessazioni subite dal mondo ebraico, Cattaneo dedicò il suo famoso testo Interdizioni Israelitiche. “Il suo non è un discorso da ‘anima bella’, – ha ricordato Mortara – seppure la sua simpatia per la minoranza ebraica è piuttosto evidente, ma una pura questione di logica: se agli ebrei si consentirà di avere uguali diritti, di dedicarsi ad altri mestieri e occupazioni, di integrarsi all’interno della società, l’economia nazionale se ne avvantaggerà, ed essi infine avrebbero partecipato come tutti gli altri alla vita del paese, non essendo più relegati ai solo commerci e al solo prestito. E così, infatti, è stato”. Mortara ha poi ricordato diversi legami famigliari con Cattaneo. Di seguito il testo del suo intervento.
Vorrei soffermarmi innanzitutto sulle “Interdizioni israelitiche”. E sull’impianto che si può definire illuminista, con il quale Cattaneo analizza il pregiudizio antiebraico e smonta una delle sue basi: il fattore economico.
Cattaneo è più pragmatico del romantico Giuseppe Mazzini: in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della società. Per Cattaneo scienza e giustizia devono guidare il progresso della società.
Pertanto, per lo scrittore delle interdizioni israelitiche, gli ebrei italiani, chiusi nei ghetti, ai quali da secoli erano interdetti i diritti, che erano costretti al prestito e all’usura e per questo detestati e lasciati ai margini, dovevano essere emancipati perché chi li aveva perseguitati aveva fatto il proprio stesso danno: aveva gettato le basi – proprio costringendoli a tali mestieri – affinché essi accumulassero potere e rilevanza economica. E vietando loro di partecipare attivamente alla società, li aveva confinati in un angolo detestabile di questa.
Il suo non è un discorso da “anima bella”, seppure la sua simpatia per la minoranza ebraica è piuttosto evidente, ma una pura questione di logica: se agli ebrei si consentirà di avere uguali diritti, di dedicarsi ad altri mestieri e occupazioni, di integrarsi all’interno della società, l’economia nazionale se ne avvantaggerà, ed essi infine avrebbero partecipato come tutti gli altri alla vita del paese, non essendo più relegati ai solo commerci e al solo prestito. E così, infatti, è stato.
A conferma degli stretti legami con gli ambienti ebraici improntati ad amicizia e stima ricordo questi episodi tramandati in famiglia.
Cattaneo e Mazzini quando erano a Londra frequentavano la casa di Meyr Moses Nathan. Casa Nathan divenne in breve il luogo d’incontro dei politici italiani fuoriusciti dopo la Restaurazione. E’ a casa di Sarina Levi Nathan che avvengono le riunioni politiche tra Mazzini e i suoi più fidi collaboratori: Aurelio Saffi, Carlo Cattaneo, Maurizio Quadrio (che è il precettore di figli di Sarina e Moses) e molti altri. Ma, come racconta Amelia Pincherle Rosselli nelle sue memorie, l’aiuto dato dai Nathan, e in particolare da Sarina, alla causa Mazziniana, non si limita soltanto al garbato accoglimento o all’intelligente consiglio finanziario. Fu tramite la stretta rete dei parenti di Sarina che Mazzini riuscì a far giungere a Livorno intere partite di armi e “anche i prestiti e le contribuzioni in denaro per la causa italiana passavano per le mani dei fratelli Rosselli.”
A Lugano, villa – la Tanzina –, dove si ritira in esilio Sarina Levi Nathan nel 1862, diventa il luogo di soggiorno per grandi uomini, principalmente legati alla causa repubblicana. E lì che morì (laicamente e senza ultime unzioni) ad esempio, Carlo Cattaneo, il 5 febbraio 1869. E fu a Pisa “fra le braccia di Giannetta Nathan che Mazzini morì nel 1872, con sulle spalle uno scialle lavorato a maglia da Sarina, pare lo stesso con il quale era morto anche il suo fedele Carlo Cattaneo”.
Il pamphlet di Cattaneo è oggi considerato uno snodo essenziale verso l’emancipazione e uno dei contributi più importanti che vennero dati in tal senso, nei cruciali decenni che dai moti risorgimentali portarono all’Italia unita. Su questo tema, è utile leggere il volume di Gadi Luzzatto Voghera “Il prezzo dell’eguaglianza”, che affronta il dibattito sull’emancipazione degli ebrei in Italia dal 1781 al 1848.
Sono molto legato, personalmente, a questa parte della storia ebraica e italiana: la lotta per l’emancipazione come cittadini e per la conquista della libertà religiosa sono stati i fattori che hanno spinto gli ebrei a prendere parte attiva ai moti risorgimentali a alla costruzione dell’Italia unita, e la mia famiglia, a seguito del tragico rapimento del bimbo Edgardo Mortara (fratello della mia bisnonna Ernesta) da parte delle guardie pontificie sotto Pio IX, svolse un ruolo non secondario. “Il caso Mortara” ebbe infatti una eco internazionale, che contribuì ad accendere i riflettori sugli ebrei italiani, proprio negli anni in cui si stava compiendo l’emancipazione. Nella lingua ebraica non c’è il termine storia che viene tradotto con “toledot” che letteralmente significa “generazioni”. Non vi è dunque Storia se non attraverso ciò che una generazione riesce a tramandare alla successiva. In questo risiede l’imperativo morale di ricordare.
Tornando a Carlo Cattaneo, è importante ripensare e trasmettere l’indubbio valore morale, storico e culturale del suo pensiero, tutt’oggi di grande interesse e attualità.
Fu un uomo dalle idee estremamente moderne, all’avanguardia, ed è considerato tra i padri del federalismo europeo: sosteneva che solo se gli stati europei si fossero federati insieme, si sarebbero potuti evitare guerre e conflitti. Cattaneo scrisse a riguardo: “Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa” E il premio Nobel per la pace attribuito alla Ue qualche anno fa, è una conferma postuma di questa sua tesi, tanto visionaria per l’epoca in cui fu formulata.
In proposito, ho un aneddoto personale e familiare, che mi lega proprio al Movimento federalista Europeo. Mio zio Amedeo Mortara, alla promulgazione delle leggi razziali nel 1938, viene mandato a Lugano per finire il Liceo. Successivamente frequentò il politecnico di Losanna, località dove avevano trovato rifugio anche Luigi Einaudi, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli con Ursula, e tanti altri fuoriusciti dall’Italia. Frequentandoli e aderendo agli ideali del movimento federalista europeo divenne attivista e partecipò, nell’immediato dopo guerra, alle manifestazioni contro le frontiere a Ponte san Luigi al confine con la Francia. Nel suo studio aveva una foto di quelle manifestazioni e da piccoli, quell’immagine era spunto per racconti e per parlare del movimento europeista di cui fu segretario amministrativo per un ventennio fino a quando litigò con Spinelli quando quest’ultimo aderì al comunismo tradendo gli ideali del federalismo storico. Da idealista e teorico, con l’inizio della globalizzazione, sognava gli stati unito del mondo con tutti gli uomini di buona volontà che si riconoscevano nei principi noachidi. Mio padre invece, molto più pragmatico, fu uno dei promotori della CECA Organizzazione internazionale a carattere regionale, oggi estinta, che ha costituito il primo passo nel processo di integrazione europea.
Dunque, nella storia della mia famiglia, è presente una interessante assonanza con il pensiero e le idee di Carlo Cattaneo, e mi è gradita questa occasione, per averle ripercorse seppure per sommi capi.
Vorrei ora proporre una breve riflessione sul titolo del convegno. Questo incontro si chiama “Carlo Cattaneo: maestro di tolleranza”, e il titolo, è evidente, richiama l’invito alla tolleranza che Cattaneo espresse e favorì nei confronti della minoranza ebraica, ma sulla quale si basava l’idea di Stato e di società che egli aveva. Oggi però il termine tolleranza non si adatta più a esprimere le complessità delle moderne società. A partire dal dettato costituzionale.
I padri della Costituzione espressero, con l’articolo 3, la pari dignità sociale di tutti i cittadini, e la loro uguaglianza davanti alla legge, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Insomma, nella nostra stessa Costituzione si va ben oltre la tolleranza: le fondamenta del nostro comune vivere civile, si basano sul rispetto per la diversità.
Scrivendo l’articolo 3, i padri costituenti intendevano esprimere anche il ripudio per gli orrori e le enormità delle leggi antiebraiche, delle deportazioni e della Shoah, estreme conseguenze di una politica basata sul razzismo e sull’antisemitismo.
Il termine “tolleranza”, adattissimo a titolare questo pregevole convegno storico, perché di tolleranza allora si parlava, quando ancora esisteva la segregazione degli ebrei nei ghetti, è dunque superato dalla storia.
Sottolineo questo concetto, perché oggi viviamo un periodo in cui, come più volte denunciato dall’UCEI e dalle Comunità ebraiche, preoccupa la difesa dei diritti delle minoranze, e preoccupano i risorgenti e striscianti razzismi, così come preoccupa il ritorno di un serpeggiante e velenoso antisemitismo. Tollerare, dunque, non è più sufficiente: l’attuazione di una vera uguaglianza, fondata sui diritti e sui doveri, validi per tutti, senza differenze di genere, di etnia, di religione, è il terreno sul quale è necessario confrontarsi oggi.
Il pensiero di Carlo Cattaneo, e la sua idea di una società fatta di apertura e integrazione, è confortante in questi anni così complicati e, sotto alcuni aspetti, retrogradi.
Vorrei dunque chiudere il mio intervento lanciando ai presenti due domande, strettamente connesse con i temi fin qui trattati.
La prima, sul dilemma tra universalismo e particolarismo, che è di pressante attualità anche oggi: di quale cittadinanza si ha bisogno oggi? Quella dove tutti devono essere uguali mettendo a margine le proprie molteplici identità o quella dove tutti dovrebbero essere ugualmente liberi nella diversità?
La seconda: quale tipo di Unione europea bisogna ricostruire? In un momento di crisi dei valori fondanti della società occidentale e della crisi dell’idea d’Europa mi sembra importante l’incontro odierno.
Partendo dalle idee di Cattaneo, è forse possibile riproporre spunti e riflessioni utili anche oggi, e che possano indirizzarci nelle scelte che ci attendono.
Giorgio Mortara, vicepresidente UCEI