“Ghiur, serve chiarezza”

Schermata 2019-04-17 alle 12.38.03“Un argomento delicato, che merita di essere trattato e approfondito, nelle sue linee generali, in maniera appropriata”.
Questa la premessa a un incontro sul tema del Ghiur Katan, la conversione dei figli di madre non ebrea, che si è svolto ieri sera nei locali dell’aula magna del Palazzo della Cultura, organizzato dalla Consulta della Comunità ebraica di Roma e con relatore il rabbino capo rav Riccardo Di Segni.
“Il futuro demografico dell’ebraismo italiano lo si garantisce facendo matrimoni ebraici e dei figli. È in questa direzione che deve concentrarsi lo sforzo politico comunitario. Non è intensificando le conversioni che si risolveranno i problemi” ha sottolineato il rav Di Segni nella sua lezione, molto partecipata e seguita da numerosi interventi e domande dal pubblico.
Il rabbino capo ha comunque riconosciuto che si tratta di “un tema caldo, che attraversa l’ebraismo italiano”. E che è inevitabilmente collegato al più stretto controllo sulle aliyot, le “salite” verso Israele con annessa cittadinanza possibili a chi ha anche solo un nonno ebreo, esercitata in questi ultimi anni dal ministero dell’Interno.
Secondo rav Di Segni “è necessario fare chiarezza” sull’argomento oggetto della serata. E soprattutto sgombrare il campo da quello che ritiene un equivoco: l’idea che in passato esistesse una soluzione “alla romana” per i ghiurim, con percorsi più semplici segnati da un minor numero di ostacoli.
“Non è così, e se per un certo tempo è stato così, questo approccio non è stato un bene” ha detto il rav, mostrando alcuni grafici elaborati per l’occasione in cui risulta che la gran parte di coloro che in passato hanno affrontato il ghiur in giovane età, negli anni successivi non hanno saputo mantenere un legame forte con l’identità ebraica. “Su una media di 100, soltanto 14 hanno poi avuto un matrimonio ebraico” ha lanciato l’allarme rav Di Segni.
Riguardo alle preoccupazioni espresse da numerose famiglie e da diversi partecipanti all’incontro di ieri sera, che hanno lamentato percorsi troppo in salita che avrebbero come conseguenza la demotivazione di chi affronta una conversione, il rabbino capo ha sottolineato alcuni paletti. “Il concetto fondamentale – ha detto – è che se la madre chiede la conversione, il figlio minore può farla insieme a lei. Se ciò non accade, il minore non può convertirsi fino al raggiungimento di una età di maggiore consapevolezza. Ma il requisito è che, giunto a quel punto, accetti l’ebraismo con tutte le mitzvot”.
“So che è un pugno nello stomaco rispetto al pregresso ma posso assicurare che è così che funziona ovunque. Non siamo noi – ha aggiunto – a poter cambiare le regole”.

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(17 aprile 2019)