Vivere significa parteggiare
Chi può sapere se gli oltre 200.000 partigiani che si unirono alla Resistenza in Italia – di cui circa 2000 ebrei in diverse formazioni -, e dei quali quasi la metà cadde in battaglia, erano davvero coscienti che quello a cui stavano prendendo parte non era altro che “un derby tra fascisti e comunisti”. E chi lo sa se coloro che per motivi “razziali” o politici rischiarono la deportazione nei campi di concentramento, o qui vi perirono, potevano intuire che settantatré anni dopo il sacrificio di chi li liberò o li avrebbe liberati sarebbe stato relegato a un evento secondario, di poco conto. Il 25 Aprile è legato a doppio filo con l’apertura dei cancelli di Auschwitz avvenuta tre mesi prima, se non ci fosse stata la liberazione dal nazi-fascismo non solo chi sarebbe sopravvissuto vivrebbe ancora sotto una dittatura, ma giornali come questo sul quale oggi sto scrivendo non esisterebbero.
Nessuna visita a musei commemorativi o presunte attestazioni di “amicizia” possono davvero compensare o aver valore se prima gli attuali politici sovranisti non prendono coscienza ed esplicitano senza mezzi termini che il nazi-fascismo è stata la vergogna più grande della storia del novecento in Occidente. In circostanze come questa, come scriveva Antonio Gramsci, “vivere significa parteggiare”, non è possibile restare neutrali ed indifferenti, non esistono vie intermedie. Gli unici che non festeggiano o disprezzano il 25 Aprile in Italia sono quelli che in questo giorno furono sconfitti. I restanti, non sono i cosiddetti “comunisti”, ma tutti coloro che grazie a questo giorno adesso hanno libertà di parola e la possibilità di un’esistenza.
Hag Pesach sameach e buone liberazioni a tutti.
Francesco Moises Bassano