Forzare i confini della vita

kasamDue ricerche quasi contemporanee, una alla Tel Aviv University, l’altra a Yale, pongono interrogativi inquietanti sul confine tra la vita e la morte – per la gioia di chi persegue l’immortalità – e seri problemi etici sui limiti della ricerca.
A Tel Aviv, una équipe diretta dal prof Tal Dvir, e nata dalla collaborazione di più dipartimenti, quello di Biotecnologie, di Scienza dei Materiali e Ingegneria, di Nanoscienze e Nanotecnologia, insieme al Sagol Center for Regenerative Biotechnology, è riuscita a produrre un cuore stampato con un nuovo processo 3D, che ricombina tessuto umano prelevato da un paziente. Una tecnica rivoluzionaria e difficile persino da immaginare, sia per l’idea di poter stampare un cuore su misura, sia per la tecnica avveniristica messa a punto dagli studiosi. Le cellule estratte con una biopsia dal grasso del paziente, sono state riprogrammate, diventando cellule staminali totopotenti, e il materiale extracellulare è stato trasformato in un idrogel personalizzato. Combinando cellule staminali e idrogel, gli scienziati hanno ingegnerizzato un nuovo tessuto compatibile al 100% con quello del donatore e che non presenta quindi problemi di rigetto. Il primo “prodotto” è stato un cuore, ma, spiega il professor Dvir “con questa tecnologia pensiamo di poter rigenerare tutti gli organi, per esempio gli occhi, o l’intestino, o anche semplicemente del tessuto grasso per impianti ricostruttivi, senza il rischio di rigetto”.
In questo momento gli scienziati stanno cercando di rigenerare anche il midollo spinale e a investigare la possibilità di impianti dopaminergici umani per curare il Parkinson.
Se la ricerca manterrà le sue promesse, potremo, come le piante, ricostruire i “pezzi” perduti o deteriorati del nostro corpo (forse anche il cervello..) e arrestare la degenerazione fisica e anche la morte perché non sarà un problema (se non economico) avere a disposizioni cuori e organi nuovi per i trapianti. Non a caso Sami Sagol, mecenate israeliano che ha fondato il Sagol Center presso l’Università di Tel Aviv, è, come Elon Musk, Bill Gates e Mark Zuckerberg, molto interessato a sostenere le ricerche sul transumanesimo, ovvero la possibilità di superare i limiti biologici della nostra natura.
Ancora più eclatante, anche se per ora senza prospettive di applicazione a breve termine, la scoperta di un gruppo di scienziati della Yale University, coordinati dal professor Nenad Sestan, e pubblicata la settimana scorsa dalla prestigiosa rivista “Nature.” Gli scienziati hanno ripristinato l’attività del cervello di un maiale morto da quattro ore, dopo averlo separato ed estratto dalla scatola cranica. Il sistema messo a punto da questa équipe, che lo ha denominato BrainEx, comporta l’utilizzo di una soluzione sperimentale che, iniettata per sei ore consecutive nel cervello dell’animale morto, ha pompato ossigeno nei tessuti insieme a sostanze chimiche che consentivano agli scienziati di controllarne il percorso attraverso ultrasuoni. La soluzione iniettata conteneva anche sostanze chimiche per bloccare i segnali nervosi, onde evitare ogni attività elettrica che potesse comportare il rischio di una ripresa della coscienza –troppo pericolosa a livello etico. Durante l’esperimento, i vasi sanguigni del cervello hanno ripreso a funzionare e alcune cellule hanno mostrato attività metabolica e anche qualche reazione ai farmaci. E in alcuni neuroni, sezionati in modo da evitare di coinvolgere l’intero cervello, sono state scoperte tracce di attività elettrica. Ovviamente l’esperimento è stato ripetuto più volte, e si sono ripetuti i risultati positivi.
“Non si può parlare di cervelli vivi” ha specificato il professor Sestan alla giornalista Gina Kolata del New York Times, “ma solo di cervelli attivi a livello cellulare”.
Certo l’idea che parti del cervello possano essere recuperate dopo quella che convenzionalmente viene definita morte cerebrale, contraddice ogni certezza della nostra scienza e pone problemi metafisici complessi, tanto che parecchi scienziati si sono ribellati a questo tipo di ricerca. Ma esperimenti di questo tipo aprono la prospettiva di poter un giorno recuperare almeno una parte della funzionalità cerebrale, per esempio in chi subisce un ictus o un infarto, nelle malattie neurodegenerative o nei traumi cerebrali. Finora si è sempre ritenuto che il cervello si spenga rapidamente quando smette di essere alimentato dal flusso sanguigno. E che il deterioramento sia irreversibile a meno che non si riesca a ripristinare in brevissimo tempo il flusso del sangue. I maiali utilizzati dagli scienziati di Yale erano stati macellati quattro ore prima per uso alimentare (i protagonisti ci tengono a sottolinearlo: non hanno ucciso gli animali a scopo sperimentale) ed erano rimasti per quattro ore senza alimentazione sanguigna e a temperatura ambiente (il congelamento, si sa, può tenere in vita i tessuti).
“Questo esperimento semplicemente fa funzionare di nuovo circuiti che non erano ancora deperiti oltre il punto di non ritorno ” spiega il professor Martin Monti, che dirige il Monti Lab alla UCLA ed è uno dei massimi esperti di coscienza. “ Già sapevamo che si può far ripartire il tessuto neurale anche dopo ore di mancata alimentazione sanguigna. Se questa tecnica funzionerà anche negli esseri umani, potremo tenere in vita più a lungo componenti cellulari e miscrovascolari, e questo potrebbe incrementare la finestra temporale per salvare dalla morte un tessuto neurale molto danneggiato. Una prospettiva interessante che non ha nulla di magico: dobbiamo stare attenti ai sensazionalismi,..”
Nella storia dell’umanità, la morte è sempre stata riconosciuta dall’arresto cardiaco (morte clinica), dalla assenza di respirazione (morte reale) o, più recentemente, dalla cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo(morte legale, che è quella presa in considerazione anche per il trapianto di organi, secondo i criteri elaborati dalla Harvard Medical School nel 1968 e divenuti poi la base della maggior parte delle legislazioni nazionali).
Ma se il cuore che non ce la fa più può essere facilmente sostituito grazie a una stampante 3D, il respiro si ripristina attraverso una macchina esterna e il cervello può essere essere tenuto invita ad oltranza, non moriremo più? O dovremo pensare a un ulteriore stato che si pone tra la vita e la morte, ovvero il “parzialmente vivo”?
Sono temi con forti implicazioni etiche, metafisiche e religiose che coinvolgono le nostre convinzioni più profonde e il concetto stesso sul quale si sono fondati il senso e le prospettive della nostra vita.

Viviana Kasam