Segnalibro – L’acrobata

Jose Valenzuela Levi non aveva ancora trent’anni quando, il 16 giugno del 1987, fu ucciso dalla polizia cilena assieme ad alcuni compagni di lotta. Un giovane idealista, nemico dello spietato regime di Pinochet. Era lui il “Comandante Ernesto” che guidò l’attentato del 1986, che per poco aveva mancato il suo obiettivo principale.
Ma Jose era anche “Pepo”, il nomignolo affettuoso con cui era conosciuto dai suoi cari. “Pepo” lascia la Svezia, la madre, certezze e comodità, per compiere la sua missione. Sa che può morire. Sa che può lasciare orfano suo figlio. Ma l’amore per la libertà vince ogni ostacolo. E a distanza di molti anni dal suo assassinio, vecchie lacerazioni familiari possono finalmente risolversi in uno struggente dialogo tra la nonna, la madre di “Pepo”, e il nipote, di professione clown. Un racconto in cui si intrecciano idealismo, confronto intergenerazionale, identità plurali in bilico.
Nato come spettacolo teatrale, “L’acrobata” dell’autrice e drammaturga Laura Forti, che è anche assessore alla Cultura della Comunità ebraica fiorentina e animatrice assieme al marito Enrico Fink della riuscita esperienza del Balagan Cafè, è un libro profondo. “Non c’è una parola sprecata” ha sentenziato Wlodek Goldkorn, presentando il libro (pubblicato dalla casa editrice Giuntina) nella cornice della Biblioteca delle Oblate.
Una grande epopea familiare, dalla Russia bianca all’Italia al Sud America raggiunto con l’entrata in vigore delle Leggi razziste promulgate dal fascismo nel 1938. “Pepo”, per l’autrice, è più di un esempio positivo cui aggrapparsi. Era infatti un cugino, che conobbe bambina in occasione di un suo soggiorno a Firenze. Soltanto di recente ha scoperto il suo ruolo, centrale e sfortunato, nell’opposizione a Pinochet.
“Questo libro – racconta – è il risultato di un lungo viaggio iniziato nel 2008 quando in Cile ho conosciuto tutta la verità sulla storia di mio cugino. In casa, per uno strano bisogno che le famiglie hanno di censurare i fatti e di mantenere i segreti, avevo sempre saputo soltanto una parte della vicenda: che lui era morto molto giovane, ucciso dalla polizia cilena. Ignoravo tutto il suo importante passato politico”.
In questi anni ha quindi rielaborato e declinato in tanti modi e stili diversi la narrazione, perché – prosegue – “il fantasma di Pepo, come un dybbuk, non mi ha mai lasciato pace: dovevo conoscerlo, accoglierlo, raccontarlo.” Il risultato è un libro emozionante e commovente.

(23 aprile 2019)