Periscopio – Daniela Piattelli (1940-2019)
La scomparsa di Daniela Piattelli, avvenuta, del tutto inattesa, alle prime ore di questo martedì, 23 aprile, priva la comunità scientifica di una studiosa di rara intelligenza, ampia e profonda cultura, alta sensibilità umana, che ha dato un prezioso contributo agli studi sui diritti dell’antico Oriente mediterraneo e, tra di essi, dell’antico diritto ebraico, a cui ha dedicato, con inesauribile passione, un’intera vita di ricerca e di didattica.
Allieva del grande Edoardo Volterra, pioniere di questo tipo di studi nel nostro Paese – sempre marginalizzati, nell’ambito delle discipline storico-giuridiche, a causa della forte preminenza, nelle Facoltà e nei Dipartimenti di studi giuridici, dell’insegnamento del diritto romano, la cui storia è stata fatta coincidere, per lunghi secoli, con la storia del diritto “tout court” – ha condiviso col suo Maestro, da una parte, l’attitudine a una interpretazione delle fonti antiche (bibliche, mishnaiche, talmudiche, midrashiche) filologicamente puntuale, attenta alla corretta esegesi testuale e al contesto storico di riferimento, e, dall’altra, l’apertura interdisciplinare, che l’ha sempre portata a confrontare le “tradizioni giuridiche di Israele” (titolo di un suo noto e suggestivo libro) con la realtà dei diritti di altre civiltà (innanzitutto la romana, ma anche l’attica, la sumerica, l’ittita e altre). E ciò sulla base della persuasione secondo cui la comprensione di ogni percorso di evoluzione e trasformazione di una specifica tradizione culturale possa e debba ricevere luce dalla conoscenza delle altre, indipendentemente da quanto ad essa risultino più o meno vicine o lontane.
Docente stimatissima tanto in Italia (ha insegnato presso le Università di Roma “la Sapienza”, Salerno, Roma Tor Vergata, Roma Lateranense) quanto all’estero (soprattutto in Israele, Paese da lei sempre considerato una elettiva “patria dell’anima”, e nel quale si recava ogni volte che le fosse possibile), ha arricchito col suo magistero – sul piano culturale e umano – migliaia e migliaia di studenti, che ricorderanno non solo con interesse, ma anche con simpatia le materie da lei insegnate, che resteranno sempre collegate, nella loro memoria, al ricordo delle sue innate doti di comunicativa, garbo, disponibilità, ironia.
Moltissimi validi cultori del diritto, operanti in Italia e all’estero (come avvocati, magistrati, docenti, notai, funzionari…), hanno portato, portano e porteranno, nell’esercizio delle loro professioni, quel “di più” scaturente dall’avere avuto il privilegio di leggere le pagine e ascoltare le lezioni di Daniela: il cui messaggio fondamentale, a mio avviso, risiede in tre elementi di fondo.
Innanzitutto, la fede in un’insopprimibile dimensione etica del diritto, inteso sempre esclusivamente quale strumento al servizio della giustizia: una funzione inderogabile, per il cui rispetto occorre sempre esercitare un’attenta vigilanza, con un vero e proprio dovere di denunciare ogni forma di tradimento, abdicazione, distrazione da tale inderogabile finalità. A questa coscienza, a questa convinzione di base si collega, a mio avviso, la scelta dei temi di ricerca effettuata dalla studiosa, volta a prediligere argomenti (quali i diritti umani, la condizione della donna, dello straniero, del servo e in generale dei “soggetti deboli”, lo statuto del proselita e tanti altri) atti a sollecitare, appunto, interrogativi e prese di posizione di tipo morale, in grado di fare riflettere sui doveri e le responsabilità connessi alla condizione umana, in linea con gli ideali predicati dai profeti d’Israele.
In secondo luogo, l’idea – propria tanto dei giureconsulti romani quanto dei talmudisti – che la formulazione tecnica del diritto, come strumento di giustizia, debba essere raggiunta attraverso libero dibattito, contraddizione, controversialità, autonomia e libertà di pensiero. Un buon rabbino, è scritto, è quello i cui allievi saranno in grado di contraddirlo, e le “dissenting opinions”, tanto nella giurisprudenza rabbinica quanto, per esempio, nelle sentenze della Corte Suprema del moderno Stato di Israele, sono sempre considerate elemento essenziale per la credibilità di una sentenza (tanto da indurre a sospettare dell’equanimità di un verdetto di condanna espresso all’unanimità). Questi principi hanno costantemente permeato l’intero percorso intellettuale di Daniela, integralmente segnato da un libero e fecondo scambio intellettuale, nei confronti di tutti, fuori da ogni dogmatismo preconcetto.
Infine, l’importanza attribuita alla dimensione storica del diritto, che, nella visione dell’insigne studiosa, rappresenta un indispensabile anello di congiunzione tra il passato, il presente e il futuro. Non può esistere, secondo Daniela, un diritto positivo chiuso nella contemporaneità, come neanche un diritto antico non connesso alla modernità, e nei suoi libri, accanto alle citazioni dei Digesti di Giustiniano e del Codice di Hammurabi, abbondano i riferimenti alla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, alla Costituzione repubblicana italiana, alla Carta costitutiva delle Nazioni unite e ad altri documenti fondanti della civiltà giuridica odierna. Chiunque sia stato messo di fronte a questo insegnamento, non lo potrà dimenticare.
La sua fine, come detto, è giunta inaspettata. Negli ultimi anni, è stata una delle anime del Centro studi sui fondamenti del diritto antico, attivo presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, presieduto da Francesco Paolo Casavola, e aveva già preparato – così mi aveva detto – il testo della relazione (intitolata “Patriarcato e teocrazia nell’antico Israele”) che avrebbe svolto il prossimo mercoledì 22 maggio, al seminario del Centro sul tema “Patres/patria. Religione, diritto e violenza tra famiglia, città e stato”. Non so se riusciremo a trovare questo testo, e a darne lettura nel corso del seminario, per poi pubblicarlo. Se, com’è probabile, non ci riusciremo, porteremo comunque nel cuore questa sua ultima pagina bianca, luminosamente riempita da quell’ultima parola del titolo, che per lei ha significato tanto. È, appunto, la sua ultima parola, e vale a esprimere, con il suo senso arcano, il percorso e – soprattutto – la destinazione della sua vita.
Francesco Lucrezi, storico
(24 aprile 2019)