Memorie d’Europa
Moked ha già parlato di Lia Wainstein, riproducendo un articolo di Lucia Correale (“Lia Wainstein, un salotto come avamposto di libertà”, La Stampa, 20 febbraio 2019 – Moked, 26 febbraio 2019). Tuttavia, prendendo spunto dalla presentazione del volume curato dalla nipote Regina Wainstein (Memorie d’Europa. Lia Wainstein, un’intellettuale libera del Novecento, Edizioni Clichy, Firenze, 2019), fatta da Cosimo Ceccuti, Stefano Folli e Paolo Bagnoli pochi giorni fa a Firenze, alla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, appare opportuno tornare su questa figura di intellettuale ebrea cosmopolita, andando oltre la sua immagine più nota, di animatrice di quello che Stefano Folli ha definito l’ultimo grande salotto romano.
Giustamente Correale sottolineava la centralità, negli interessi di Lia Wainstein, di quello per il dissenso sovietico; ma bisogna dire che la Russia come tale è sempre stata presente nella mente e nel cuore di Lia Wainstein, quella Russia che non aveva conosciuta di persona (era nata nel 1919 a Helsinki, dove i genitori erano fuggiti dopo la rivoluzione bolscevica) e che non aveva voluto visitare nemmeno dopo la caduta del regime sovietico, quasi a volerne conservare intatta una memoria puramente ideale.
Ma oltre agli articoli sulla Russia pubblicati su “La Stampa” e sulla “Voce repubblicana”, e che occupano buona parte del volume, sono da mettere in evidenza quelli dedicati all’antisemitismo, raccolti soprattutto nella sezione intitolata appunto “Vecchio e nuovo antisemitismo”, apparsi sugli stessi quotidiani e su “Shalom” tra il 1968 e il 1992, ma presenti anche in altre parti del volume.
Senza entrare nei particolari, il contenuto di questi articoli appare di una sconcertante attualità: la persistenza dell’antisemitismo in Francia, in Russia, in Polonia (“l’antisemitismo senza ebrei”), in Iraq, paradigma del più generale rifiuto arabo. Ma un lungo articolo apparso su “Shalom” nel febbraio 1981 merita una particolare attenzione: ha per titolo “Il libro nero” e tratta appunto delle vicende di un volume con tale titolo che era stato pubblicato in URSS l’anno precedente, dedicato al “generale e criminale assassinio degli ebrei perpetrato dai conquistatori tedesco-fascisti”. Il lunghissimo sottotitolo conteneva altre espressioni, ma ciò che Lia Wainstein mette in rilievo è che il volume doveva essere pubblicato nell’immediato dopoguerra a cura di Il’ja Ėrenburg, ma che era stato bloccato per ordine di Stalin. Lia Wainstein dà tuttavia un giudizio severo anche sui contenuti dell’edizione del 1980, sottolineando innanzi tutto che i curatori tacciono sul fatto che la mancata pubblicazione nell’immediato dopoguerra fu dovuta in gran parte al clima di antisemitismo esistente dal 1947 in URSS, dove la Commissione per l’inchiesta sui crimini tedeschi, in particolare l’inchiesta sullo sterminio degli ebrei, era stata liquidata. I curatori del volume attribuivano invece la mancata pubblicazione soltanto al desiderio di superare il conflitto con il popolo tedesco, perché dopo la creazione della zona di occupazione sovietica in Germania (preludio della creazione nel 1949 della Repubblica Democratica Tedesca) sarebbe stata un fattore di disturbo nella politica sovietica. Ma soprattutto accusa i curatori di non aver detto che la popolazione sovietica mostrò indifferenza per la sorte degli ebrei e che anzi in numerosi casi collaborò al loro sterminio, insinuando che quell’ “abietto comportamento della popolazione” riguardò soprattutto l’Ucraina occidentale e i Paesi baltici. Ma, insiste Lia Wainstein, “più grave, tuttavia, è il fatto che nemmeno oggi ci si azzardi a fare il minimo accenno alle responsabilità delle autorità sovietiche, il cui comportamento contribuì (…) all’ampiezza delle stragi”.
Quando Lia Wainstein pubblicò l’articolo, in URSS era ancora saldamente al potere Leonìd Brèžnev, la cui politica neostalinista nei confronti degli ebrei, a cui si negava la possibilità di emigrare in Israele, si inseriva, in altre forme, nella continuità dell’antisemitismo russo, dai tempi dello zarismo ai nostri giorni.
Chi vuole approfondire la conoscenza di Lia Wainstein in tutte le sue dimensioni deve leggere la prefazione di Stefano Folli e la postfazione dii Lia Levi, nonché l’introduzione della curatrice Regina Wainstein. Sono scritti brevi, che si leggono con partecipazione perché ci restituiscono in poche pagine non solo la figura di questa straordinaria “giornalista colta”, come la definisce Folli, ma di tutto un mondo della seconda metà del Novecento, quello della cultura e della politica laica, quell’area liberaldemocratica che si esprimeva attraverso le testate cui Lia Wainsten ha collaborato: “Il Mondo”, “La Stampa”, “Voce repubblicana”, “Nuova Antologia”. Un mondo basato su un sistema di valori di cui oggi si sente acutamente la scarsità, se non proprio la mancanza.
Valentino Baldacci