Lo spirito della Resistenza
Quanto sta da anni avvenendo alla Festa della Liberazione è metafora ed espressione insieme di ciò che sta accadendo al nostro Paese e alla sua democrazia: uno smarrimento di senso, una perdita di consapevolezza.
Alla fine della guerra, nel 1945 e negli anni immediatamente successivi, il sentimento di rigenerazione, lo slancio verso il cambiamento erano grandi. Dopo venti anni di ottusa dittatura e di violento totalitarismo, dopo l’abominio del razzismo e dell’antisemitismo di Stato, dopo un conflitto disastroso e una durissima guerra di liberazione che fu anche crudo scontro civile, dominava la convinzione che si sarebbe aperta un’era nuova, in cui libertà, democrazia, giustizia sociale, solidarietà avrebbero dato fondamento a un paese diverso, finalmente espressione di autentica condivisione e partecipazione popolare. Sappiamo come e perché questa palingenesi, delineata dalla nostra Costituzione, si è realizzata solo a metà, lasciando l’avanzata democrazia italiana immersa in mille incompletezze, problemi, ambiguità: gli echi della guerra fredda, la rottura della coalizione costituente e del “velo dell’ignoranza”, il prevalere di interessi partitici, la crisi del centrosinistra e del pentapartito, il fallimento delle “convergenze parallele” auspicate da Moro, la stagione della tensione creata dalle bombe dell’estrema destra neofascista, il clima degli anni di piombo prodotti dal terrore delle Brigate Rosse, e poi il degrado della corruzione che ha posto fine alla Prima Repubblica, la fragilità della Seconda con il suo bipolarismo artificioso e la rinnovata disonestà del potere hanno via via allontanato e di fatto dilapidato una parte consistente del patrimonio civile ed etico della Resistenza.
La Festa della Liberazione è rimasta per molti anni un’isola di autentica solidarietà democratica collettiva; una boccata di ossigeno, o forse un’illusoria bolla di sapone. Poi, progressivamente e in modo più accentuato e polemico negli ultimi anni, anche questa monade di partecipazione ha suscitato opposizioni ideologiche, accese divisioni politiche generali e scontri intestini nel fronte resistenziale. L’insistita, perdurante incursione della propaganda propal all’interno di un’orizzonte storico-politico totalmente estraneo agli eventi mediorientali contemporanei è un tipico esempio del crescente snaturarsi del 25 Aprile. L’elemento reciproco e complementare a questa incongruenza, cioè l’assurda volontà di escludere dalla sfilata i rappresentanti della Brigata Ebraica Palestinese che realmente contribuì alla liberazione dell’Italia, ha accentuato la degenerazione. La conclusione paradossale è che la Festa della Libertà degli italiani è divenuta l’occasione della più forte rivalità e dello scontro politico in nome dell’Italia. Nata come elemento di coesione e di cementificazione di una ritrovata unità nazionale democratica in nome di quel nuovo Risorgimento che fu la Resistenza, essa è ormai ogni anno la palestra per i vergognosi proclami dei nipotini di Mussolini e di Hitler, nonché la vetrina per i movimenti di protesta più disparati (dai filopalestinesi, appunto, ai NoTav).
L’avvento al potere del sovranismo/populismo pare aver completato l’opera di smantellamento della Festa della Liberazione. Perché se sino ad oggi le ricorrenti e crescenti divisioni o opposizioni erano espressione di gruppi esterni alle istituzioni, se sino ad oggi i rappresentanti dello Stato ai massimi livelli – pur talvolta assai tiepidi verso la Guerra di Liberazione e il mondo partigiano – continuavano a considerare la Resistenza stessa e la sua memoria un fatto istituzionale e fondante del nostro sistema democratico, l’attuale Governo offre agli italiani e al mondo l’indegno spettacolo di un Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Interni che apertamente disprezza il processo di liberazione democratica che ha dato vita al nostro Stato e dunque offende quella stessa Costituzione italiana che ne è la conseguenza e alla quale ha giurato fedeltà. Per fortuna, una volta tanto, altre centrali cariche dello Stato hanno espresso dissenso rispetto a tali posizioni (auspicando che la loro opposizione non sia solo uno strumentale calcolo pre-elettorale).
Una simile situazione sembra davvero disperante. Eppure credo che più che mai quest’anno la ricorrenza del 25 Aprile capiti a proposito. La crisi etica, umana, politica, economica in cui il paese sta sprofondando a causa delle scelte improvvide di chi ci governa necessita di un’occasione di riscatto, di un momento di protesta generale in nome delle stesse radici democratiche delle nostre istituzioni: quale migliore opportunità del 25 Aprile per manifestare la nostra opposizione collettiva e il nostro sincero impegno per una autentica rinascita nello spirito della Resistenza e della Costituzione? Scrivo la sera del 24 aprile, e questo è naturalmente solo un auspicio, consapevole oltretutto che una espressione di profondo dissenso non può da sola mutare una situazione inveterata. Ma a Torino un cambiamento di clima ha già cominciato a realizzarsi stasera: dopo la tradizionale fiaccolata per le vie del centro, in Piazza Castello il professor Carlo Smuraglia, partigiano, con un discorso di grande forza e di straordinario coraggio ha forse aperto la strada per un collettivo: “No, non ci stiamo!”
David Sorani