Il valore etico del lavoro
In uno dei primi passi del trattato Avot della Mishnà (di cui, secondo diffusa consuetudine, si inizia la lettura pubblica in sinagoga questo Shabbat) troviamo questo insegnamento: “Simeone il Giusto soleva dire: Il mondo si regge su tre cose: sulla Torà, sul servizio Divino (avodà), sulle opere di misericordia (ghemilut chasadim)”. Il termine “avodà”, che significa letteralmente lavoro, in questo contesto viene solitamente riferito al servizio sacro che si svolgeva nel Santuario a Gerusalemme e, da quando esso è stato distrutto, questo valore basilare si intende esteso alla preghiera – tefillà – e in generale all’adempimento dei Comandamenti divini – Mizvot. Nel commento alla Mishnà di Rav Pinchas Kehatì z.l. troviamo tuttavia un riferimento alla possibiltà di cogliere in questo passo anche il significato letterale del termine avodà. Così infatti si è espresso Rav Kehatì: “C’è anche chi spiega che si debba intendere – avodà – nel senso di vero e proprio lavoro – come arare, seminare, mietere – dal momento che attraverso il lavoro l’uomo diviene associato al Signore nell’opera della creazione, come è detto: “D.O benedì il giorno del Sabato e lo santificò perché in esso cessò tutto il lavoro che D.O aveva creato per elaborare (laasot)” (Genesi 2,3). L’espressione “laasot – per elaborare” si riferisce a tutto ciò che spetta all’uomo di compiere (in proseguimento dell’opera del Signore) per il bene e la prosperità del mondo”.
Il valore etico del lavoro come fondamento della nostra vita, è stato sottolineato, tra gli altri, anche da Rav Ben Zion Meir Chay Uziel z.l. – che fu Rabbino Capo d’Israele – in un discorso rivolto all’organizzazione dei lavoratori religiosi. Nel suo messaggio, Rav Uziel ricordava alcuni principi generali della Torà sui rapporti tra datore di lavoro e lavoratori, ribadiva quindi – da un lato – che “Il datore di lavoro deve rapportarsi nei confronti del lavoratore come ad una persona uguale a lui, che lo aiuta nella realizzazione dell’opera, non con senso di superiorità, che porta ad atteggiamenti che svergognano ed umiliano”, d’altra parte che “il lavoratore deve considerarsi impegnato, con le sue capacità fisiche ed intellettive, con fedeltà e precisione, allo svolgimento del lavoro assegnatogli durante il tempo del suo contratto”. Il valore fondamentale del lavoro nello spirito dell’ebraismo trova quindi espressione nel messaggio di Rav Uziel attraverso il concetto per cui il lavoratore deve sentire la propria attività non come un fatto privato, ma come parte di un processo molto più ampio, che si sviluppa in una prospettiva universale, per essere orientato al bene del paese e della collettività di appartenenza fino a rivolgersi al benessere dell’umanità intera: “Il valore del lavoro corrisponde alla nostra partecipazione allo sviluppo e al benessere del mondo, è da questo impegno che possiamo trovare il piacere della vita e il senso stesso del nostro esistere”.
Sono parole che stimolano a interpretare i problemi del lavoro ed in primo luogo la gravità della disoccupazione, come fatti di rilevo non puramente economico e sociale ma come elementi disgreganti, che mettono in discussione il senso stesso della vita dell’uomo e il significato esistenziale del trovarci in questo mondo.
Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova
(1 maggio 2019)