L’arte che ci aiuta a riflettere
Un bambino si accinge a festeggiare il suo primo compleanno, due giorni dopo quello del Museo della Città di Livorno, eventi (la nascita di entrambi) su cui ebbi modo di parlare in questa rubrica appunto un anno or sono.
Tra le iniziative per i festeggiamenti livornesi, la cronaca registra la mostra Inciampo curata dalla direttrice dei Musei Civici Paola Tognon, che ha chiamato al Museo della Città artisti contemporanei.
Tra essi, Ruth Beraha, giovane milanese presente nel 2017 alla cinquantasettesima biennale di Venezia e quest’anno ad Arte in Memoria presso la Sinagoga di Ostia Antica. Beraha espone al Museo della Città il progetto Non sarai mai solo, che tra le altre opere include Io non posso entrare (autoritratto), consistente in una provocatoria targa in ottone recante la scritta ‘Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali’.
La targa è stata prontamente imbrattata da un ragazzo, il quale confrontandosi con Beraha e Tognon presenti all’evento ha discusso della provocazione insita in certe forme di arte contemporanea, e del rischio che il fraintendimento di un’opera come questa possa veicolare messaggi razzisti e sortire un effetto opposto a quello desiderato.
Il giovane, il cui intervento potrebbe sembrare più parte di una performance che improvvisato, ha poi regalato all’artista la propria copia de Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, che (casualmente?) aveva con sé, sottolineando un passo sulla lotta partigiana.
Al suo posto avrei chiamato in causa le Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, e indicato una chiave di riflessione nella lezione sull’esattezza, in cui Calvino denuncia la povertà di ricchezza di significati tanto nella parola scritta quanto nelle immagini, adducendo tra gli altri a sostegno della propria tesi Leopardi quale poeta del vago, ovvero della ricerca di precisione nel descrivere sensazioni e paesaggi.
Forse non per tutti la chiave interpretativa sarebbe stata chiara, ma Beraha voleva creare distonia e disagio. Ci è riuscita. La targa lucente indica una possibilità di persecuzione che già è stata (in cui l’artista si riconosce). In luoghi pubblici, come potrebbe essere lo spazio condiviso di un museo, di questo razzismo diffuso e condiviso era affissa la liceità giuridica. La targa imbrattata forse rassicura: a quella possibilità di persecuzione legale ci si sarebbe potuti e ci si può opporre. Tanto per essere esatti.
Sara Valentina Di Palma
(2 maggio 2019)