Controvento – Torah e antisemitismo
È diventato una celebrità, Haim Baharier. Sala gremita al teatro Franco Parenti per la sua conferenza sull’antisemitismo e la Torah, organizzata dall’Associazione Lech Lechà e sostenuta dalla Fondazione Cariplo. In prima fila Liliana Segre, arrivato da Roma Luca Barbareschi (che nel suo teatro Eliseo ha ospitato un ciclo di incontri con Haim), da Torino lo storico Vincenzo Pinto, che studia pregiudizio e antisemitismo. Andrée Ruth Shammah nel presentarlo, con la sua inimitabile verve e intelligenza, si riferisce a lui come HB. L’acronimo del nome è il parametro internazionale della notorietà.
Seguo le lezioni di Haim da quando, carbonari dell’ermeneutica biblica, ci riunivamo, sparuto gruppetto di accoliti, in un box messo a disposizione da uno dei suoi discepoli. Come cospiratori ci si dava appuntamento la sera, alla luce di una torcia si apriva la serranda, barriera fisica e metaforica tra la nostra realtà quotidiana e gli abissi vertiginosi della parola sacra. Mi sento anche un poco responsabile del passaggio di Haim dal garage al palcoscenico. Fui io a convincere il riluttante Maestro, che parlava solo a pochi eletti, tassativamente di religione ebraica, ad aprirsi a un pubblico più ampio di intellettuali. Il salotto di casa mia si gremì una volta alla settimana del fior fiore dell’intellighenzia milanese, attratta dall’ardua ginnastica del cervello cui volenterosamente ci sottoponevamo. C’erano poeti come Giovanni Raboni e Patrizia Valduga, il filosofo come Enrico Rambaldi, gli artisti Aldo Mondino, Emilio Tadini, Emilio Isgrò, e poi Gina Lagorio, Pia Pera e anche suore e monsignori, ammaliati dalla cultura, dalla profondità, dall’arditezza del pensiero di Haim, che poteva analizzare un solo versetto per sei lezioni, secondo la metodologia ermeneutica del PaRDeS.
Ora, rivolgendosi a un pubblico di centinaia di persone, Baharier affronta temi a più ampio raggio, prendendo spunto dalla Torah per esplorare il presente e il quotidiano.
Nel ciclo sulla genesi del pregiudizio (dove genesi sta anche per Genesi), ripercorre alcuni episodi noti a tutti per trarne, come sempre, conclusioni originali anche se non facilmente comprensibili a chi non conosce la sua tecnica – che è quella di seminare idee che poi ciascuno elaborerà, senza la scorciatoia di conclusioni prefabbricate. D’altronde Haim aborre le scorciatoie. “Non chiedere mai la strada – ama ripetere -. Potresti rischiare di non perderti”.
Perché si può dire che l’antisemitismo appare già in nuce nella Torah? Secondo Baharier sono presenti, ben prima che nascesse la nozione stessa di ebreo, due radici dalle quali il pregiudizio prende vita: una è la l’identità ebraica che si delinea nel Pentateuco (nella Genesi in particolar modo), e le conseguenze che questa ha avuto nell’inconscio dell’Occidente, Atene e Gerusalemme, le due architravi della nostra cultura.
La seconda, che sarà esplorata nella conferenza del 19 maggio (sempre al Franco Parenti alle 11), è la traduzione deviante della Torah propagata dal cattolicesimo al fine di dimostrare che i segni premonitori della venuta del Cristo già sono presenti nel cosiddetto Antico Testamento. E quindi sarebbe colpa degli ebrei non averli riconosciuti e non aver abdicato al loro Adonai “crudele” e “vendicatore” per accogliere la dottrina dell’amore e del perdono. Crudele e vendicatore sono messi tra virgolette perché si basano su traduzioni errate e tendenziose, come peraltro l’inganno messo in atto da Giacobbe per accaparrarsi la primogenitura, che letteralmente significa elevazione.
“La lezione della Torah, che è fondante dell’identità del popolo ebraico – spiega Baharier – è che bisogna elaborare il passato senza rinnegarlo, e andare un po’ più avanti, migliorare. Abele prese l’esempio di Caino, che aveva offerto il sovrappiù del suo raccolto al Signore e gli offrì non ciò che avanzava, ma ciò che aveva di meglio. Copiò il fratello, ma migliorò la performance. Sem, figlio di Mosé, seppe riconoscere, a differenza di Cam, il valore del padre, anche se dopo aver salvato l’umanità scivolò nell’errore. E coprì la sua vergogna per non disonorarlo. Migliorò perché seppe capire che si può sbagliare, ma questo non cancella i meriti del passato. Isacco riconobbe la primogenitura di Giacobbe, nonostante fosse stata estorta con l’inganno, perché si rese conto che Giacobbe, che aveva studiato, rappresentava un miglioramento, un passo avanti rispetto alla rozza bontà di suo fratello Esaù. E infatti fu Giacobbe dopo la lotta con l’angelo, ad assumere il nome Israel –colui che lotta con D-o, e fondare il popolo ebraico.”
Ma che cosa c’entra tutto questo con l’antisemitismo? “Sono tutte storie di invidia fra fratelli” risponde con un sorriso sibillino Haim Baharier.
E non dice di più.
Viviana Kasam