L’odio che torna
a divampare

lucreziIl fatto che Israele, subito dopo essersi fermato a commemorare la voragine della Shoah, per poi rendere onore ai soldati caduti per la difesa del Paese e quindi celebrare il 71° anniversario dell’Indipendenza, si sia trovato sotto una pioggia di fuoco (a cui il mondo ha assistito con lo stesso sdegno e la stessa indignazione che si prova nei confronti di una pioggia di acqua), non si può evitare di interpretare il presente alla luce del passato, e viceversa.
Sollevano davvero amare riflessioni le parole pronunciate dal Premier israeliano al sacrario dello Yad va-Shem, secondo cui la triste recrudescenza dell’antisemitismo, in tutto il mondo, coinciderebbe con un diffuso aumento dell’ammirazione per lo Stato d’Israele. E abbiamo già segnalato, su queste colonne, il paradosso per cui i primi amici di Israele (più o meno finti o sinceri) risultano oggi essere politici che contano, tra le fila dei propri sostenitori, non pochi antisemiti dichiarati, o che non mostrano il minimo imbarazzo a stringere alleanze organiche con forze politiche di altri Paesi che dell’antisemitismo (più o meno esplicito) fanno un elemento significativo del proprio bagaglio ideologico e culturale. Amici o simpatizzanti di Israele, nemici o antipatizzanti degli ebrei: un atteggiamento schizofrenico che, giorno dopo giorno, pare sempre più diffuso, e che a molti – perfino, è da dire, a non pochi ebrei e israeliani – sembra normale.
La terribile crescita, quantitativa e qualitativa, delle manifestazioni di odio antiebraico è sotto gli occhi di tutti, e non c’è bisogno di riportare numeri e statistiche. Ricordiamo solo che, accanto agli atti di aperta violenza, fisica o verbale (stragi, attentati, omicidi, aggressioni, insulti ecc.), l’odio antico sta tornando a divampare, come un lugubre incendio, anche in altre, consuete forme, generalmente non etichettate come atti di antisemitismo, in quanto camuffate sotto le solite, grottesche maschere del diritto, della democrazia, della libertà di parola, del desiderio di giustizia, della difesa dei deboli. Maschere da luna park, che ormai, per la loro ingenuità, annoiano anche i bambini: cos’altro è, per esempio, la petizione avanzata dal movimento BDS per annullare la prossima edizione del festival canoro europeo, in quanto dovrebbe svolgersi nella terra ‘infetta’ abitata dagli ebrei? Come altrimenti definire una simile iniziativa?
Cerco di essere sempre attento nell’evitare paragoni affrettati e frettolosi. Il nazismo è stato il nazismo, e non è un qualcosa che possa essere accostato ad altro con leggerezza. Ma il fatto che le sirene annuncianti lo Yom ha-Shoah – che hanno, come sempre, immobilizzato un intero Paese, trasformandolo in una foresta pietrificata, paralizzandolo con un ricordo che spezza in due, che taglia il respiro – siano state seguite, a distanza di pochi minuti, da centinaia di altre sirene, annuncianti non commemorazioni o ricordi, ma missili veri, attuali, mortali, certamente, dà da pensare.
Ci sono differenze tra i nemici di ieri e quelli di oggi? Certo, molte. Culturali, etniche, religiose, strategiche, di capacità offensiva, nelle prospettive di egemonia e in tante altre cose. E ci sono differenze tra le vittime di ieri e quelle di oggi? Certo, molte, a cominciare dalla consapevolezza del pericolo e dalla capacità di difendersi. Ma ci sono analogie tra i carnefici (o aspiranti tali) di ieri e di oggi? Moltissime. L’odio e il desiderio di morte sono identici, così come lo spirito autodistruttivo. E tra le vittime (effettive o designate) di ieri e di oggi? Qui non si tratta di analogie, ma di identità. È lo stesso popolo, fatto, oggi, dai nipoti e i pronipoti delle vittime o dei sopravvissuti di ieri. E il suono delle sirene, indubbiamente, è lo stesso.

Francesco Lucrezi

(8 maggio 2019)