Salone democratico
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Cosa mettere e cosa non mettere nel programma d’esame? Quali attività che abbiamo svolto rientrano nella categoria “Cittadinanza e Costituzione?” Quanto deve essere dettagliata la griglia di valutazione? Quali oggetti, testi o immagini si possono inserire nelle buste che gli allievi dovranno pescare prima del colloquio orale? Persa a discutere su questi dilemmi esistenziali in vista della stesura del fatidico documento del 15 maggio per l’Esame di stato (che, con una sorta di siepe intorno alla norma, doveva essere preparato entro oggi), non ho ancora avuto la possibilità di mettere piede al Salone del libro.
Fortunatamente, però, appaiono felicemente superati (almeno, fino al momento in cui scrivo: nella girandola di colpi di scena di questi giorni mi pare necessario precisarlo) i dubbi sull’opportunità di andarci. E vale la pena di sottolineare perché dico “felicemente”. Il gesto risolutivo – a quanto pare – è venuto dalla nostra sindaca e dal presidente della nostra regione, che nelle vicende degli ultimi giorni appaiono essersi mossi perfettamente all’unisono (ovviamente non posso sapere cosa sia accaduto dietro le quinte, ma credo che in questa circostanza prevalga di gran lunga il valore simbolico di ciò che appare in pubblico). Si tratta di due personaggi politici appartenenti a due partiti diversi, uno di maggioranza e uno di opposizione, che ovviamente saranno l’uno contro l’altro nelle imminenti elezioni europee e regionali. Dato il clima politico attuale, la loro concordia poteva apparire tutt’altro che scontata, e questo, a mio parere, ne moltiplica il valore simbolico. È stato dunque ribadito che l’antifascismo non è proprietà privata dell’uno o dell’altro, ma è di tutti noi, e che il Salone è la casa di tutti coloro che condividono i valori democratici; così come non sono patrimonio degli uni o degli altri Primo Levi o la memoria della Shoah. Senza ripicche, senza punzecchiature, senza gare a chi è più democratico o più antifascista, senza accuse reciproche di voler strumentalizzare la situazione. Di questi tempi non mi pare un segnale da poco. E, dato che in giro per l’Italia, l’Europa e il mondo le belle notizie scarseggiano, penso che valga la pena di non sottovalutare le poche che ci sono.
Anche nel mondo della scuola l’antifascismo è entrato piano piano, con i ritmi lenti di una burocrazia particolarmente farraginosa e di un corpo insegnante che non si rinnova da un giorno all’altro, legato alle proprie abitudini e tendenzialmente ostile ai cambiamenti. Se già siamo tutti in ansia per la fine di un modello di esame di stato che criticavamo dal mattino alla sera, figuriamoci cosa potrebbe succedere quando entrano in gioco i valori stessi su cui la scuola si fonda. E dunque, così come ci sono voluti decenni per far entrare l’antifascismo e la memoria della Shoah nelle aule scolastiche, confido che sarà tutt’altro che facile farli uscire, se non altro per inerzia. Anche questa, tutto sommato, è una buona notizia.
Anna Segre, insegnante
(10 maggio 2019)