Pagine Ebraiche al Salone di Torino Giornalismo e futuro della democrazia Crimi e Verna incrociano idee e itinerari
Il laboratorio di un’informazione in piena evoluzione e il futuro della professione giornalistica, le responsabilità del Governo e l’impegno dell’Ordine nazionale dei giornalisti italiani. L’esempio dei grandi protagonisti del giornalismo italiano e di coloro che esercitando la professione giornalistica hanno scritto la storia del nostro paese.
Al Salone del libro di Torino sono numerosi gli itinerari che si intrecciano. Nelle immagini, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria Vito Crimi mentre, assieme al direttore del Corriere della Sera Torino Umberto La Rocca, legge il giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche. Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Verna, assieme al direttore della Federazione nazionale della stampa Giancarlo Tartaglia mentre negli spazi della Fondazione sul giornalismo italiano Paolo Murialdi presentano assieme all’autore Gianpietro Olivetto “La dolce vita di Fraka. Storia di Arnaldo Fraccaroli, cronista del Corriere della Sera” (All Around edizioni).
Molto distanti, almeno in apparenza, le posizioni espresse da Crimi e da Verna soprattutto riguardo al futuro dell’Ordine dei giornalisti e alle riforme necessarie per garantire ai giornalisti italiani la piena possibilità di esercitare il proprio ruolo di presidio della libertà d’espressione e della democrazia.
“L’Ordine professionale – ha detto alla redazione di Pagine Ebraiche il rappresentante del Governo – rappresenta un modello superato”. “Il sistema di tutele poste a presidio della professione giornalistica – ha ribattuto Verna a distanza – può certo essere riformato, ma nessuno deve illudersi che la destrutturazione o la negazione della professione giornalistica possa rappresentare un progresso. Si tratterebbe invece di una minaccia delle nostre conquiste e dei cardini della società progredita in cui vogliamo vivere”. Dialogando con la redazione, Verna ha poi sottolineato come l’Ordine sia impegnato a promuovere la professionalità dei giornalisti, ad esempio valorizzando percorsi di formazione per i colleghi più giovani. La qualità dell’informazione deve essere la priorità assieme alla garanzia di un compenso equo per i giornalisti, l’analisi del presidente Verna, che ha citato l’esempio del grande quotidiano americano New York Times, capace di chiudere il primo trimestre sopra le attese degli analisti, grazie all’aumento degli abbonati e ai ricavi di altri prodotti digitali che sono riusciti a compensare il leggero declino degli introiti pubblicitari. Un esempio di come il giornalismo debba guardare con coraggio e fiducia al futuro per sapersi adeguare alla rivoluzione digitale. Senza dimenticare le grandi firme del passato.
Cronista leggendario che sapeva fotografare con le parole, filosofo, poeta, commediografo, umorista e curioso delle donne, il veronese Arnaldo Fraccaroli (1882-1956) per quasi 50 anni fu inviato del Corriere. Grazie alla sua versatilità, Fraka – così amava anche firmarsi – produsse migliaia di articoli d’ogni genere e oltre cento tra romanzi, libri di viaggi, novelle, saggi, lavori teatrali, biografie (tre sull’amico Puccini). “Aveva – ha detto Olivetto – classe da vendere e una capacità straordinaria di passare dal reportage di guerra alla commedia brillante. Inventò l’espressione “dolce vita”, così titolando una sua opera. Fu, durante il primo conflitto mondiale, uno dei migliori corrispondenti dal fronte. Rese celebre la frase “meglio vivere un’ora da leone che cent’anni da pecora” e per il suo comportamento in battaglia ottenne una croce e una medaglia al valor militare. È stato uno dei primi cronisti a volare su dirigibili e aeroplani e a visitare Hollywood. Scoprì e fece conoscere l’America degli “anni ruggenti” e il jazz. Dal 1920 al 1940, girò tutti i continenti, svelando agli italiani il mondo e le novità del secolo.
Ma Fraccaroli, soprattutto, dimostrò all’indomani delle leggi razziste del 1938 un sempre maggiore distacco dal regime fascista. Legato appassionatamente all’ebrea triestina Lisetta Camerino che gli diede il suo unico figlio riconosciuto, legato da profonda amicizia al commediografo Sabatino Lopez, che aiutò fra l’altro a riparare con la famiglia in Svizzera nell’ora del pericolo, dal libro emerge un ritratto di un gigante del giornalismo italiano che non si lasciava intimidire dagli squadrismi e affermava spavaldo che non si sentiva di indossare la camicia nera per la sensazione di sporco che ne emanava.