LIVELLI DI GUARDIA
La demenza digitale e il dialogo con la gente
Nell’ultimo giorno di apertura di questo trentaduesimo Salone internazionale del libro di Torino i colleghi della redazione, sempre alle prese con le febbri delle responsabilità quotidiane, mi hanno concesso l’onore di poter accogliere personalmente i tanti cittadini che hanno sostato di fronte alla postazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.
Non c’è privilegio maggiore, per un giornalista, che stare in mezzo alla gente e ascoltare da vicino il racconto delle tante vite che compongono la società in cui viviamo, viaggiando con loro sui mezzi di trasporto pubblico e sui vagoni ferroviari affollati, affrontando fianco a fianco le delusioni e le piccole gioie della vita quotidiana. Incontrare i propri lettori, conquistarne di nuovi, staccando per una volta lo sguardo dal rifugio della propria scrivania. Accettarne le proteste, placarne le ansie, condividerne le speranze. I colleghi che vanno in giro con autista e vettura di servizio e siedono sempre dietro il tavolo dei protagonisti non sanno cosa si perdono.
Trascorse solo poche ore il campionario delle mie amicizie aveva già preso il volo e fra quelli che si sono fermati per raccogliere una copia del giornale e scambiare qualche parola ho incontrato solo persone straordinarie.
Non so cosa ho imparato, ma certo mi è stata offerta la mia occasione, e spero di averla colta nel modo migliore. Perché chi non sa ascoltare gli altri ma si preoccupa solo di farsi ascoltare dagli altri, condanna se stesso alla peggiore delusione.
Ma al di là del mio lavoro di giornalista, in quanto ebreo italiano e dirigente di un’organizzazione ebraica italiana ho avuto l’occasione a Torino di vedere da vicino innumerevoli cittadini che ci cercano, che si attendono qualcosa da noi, che sono pronti ad aiutare la realtà ebraica italiana, piccolissima nei numeri ed enorme in termini di valori testimoniati, anche mettendo a disposizione preziose, indispensabili risorse economiche.
La voce di questa Italia che spera in noi e che ci vede per quello che avremmo il dovere di essere, rappresenta una delle emozioni più grandi che mi siano toccate in questi ultimi anni.
Se i cosiddetti leader ebraici potessero condividere queste impressioni, si renderebbero conto appieno che in una società complicata, conflittuale e avvelenata dall’odio, i nostri nemici più insidiosi siamo noi stessi. La peggiore delle minacce sta in noi.
Lo siamo quando rinunciamo a essere quello che dobbiamo essere, quando cediamo alla tentazione di scimmiottare la cultura dominante con le sue storture, quando ci abbandoniamo al cretinismo che dilaga sui social network e alla demenza digitale che ingrassa gli affari di aziende senza scrupoli pronte a svendere per nascondere una desolante assenza di idee e di ideali, la dignità del dialogo e dell’amicizia.
Persino i colossi di questo mondo, come Facebook, devono ormai sempre più urgentemente preoccuparsi di fermare gli abusi che si moltiplicano in questa demenziale palude. E nel chiudere decine di attività destinate a propagare odio e menzogne per pilotare le componenti più ingenue dell’opinione pubblica, così come è avvenuto. Come riportano gli organi di informazione in queste ore, Facebook ha infatti chiuso 23 pagine italiane con quasi due milioni e mezzo di fan in totale, oltre la metà delle quali a sostegno di precise informazioni politiche, attraverso cui erano condivise informazioni false e contenuti contro i migranti, il progresso medico e favorevoli a distorsioni antisemite.
Il mio auspicio è che le istituzioni dell’ebraismo italiano si sveglino in tempo e reagiscano con decisione, dimostrando che la cultura e la visione della vita che siamo incaricati di testimoniare pone limiti severi alla maldicenza, all’odio e alle violazioni della dignità umana e della riservatezza.
Così facendo renderebbero il migliore aiuto a se stesse, ma soprattutto risponderebbero a quel richiamo chiaro e insistente che ci proviene dalle tante voci dell’Italia civile.
Mazal Tov al Salone del libro e a tutto il personale del Lingotto. Grazie alla città di Torino, a cominciare dalla sua meravigliosa Comunità ebraica, e grazie alla Regione Piemonte. Grazie a tutti i colleghi che ci hanno aiutati a stare in queste ore fra la gente, tenendo alta la bandiera dell’ebraismo italiano.
E arrivederci al prossimo anno in questo straordinario luogo dove gli italiani che credono nella cultura, nella convivenza e nella solidarietà si danno appuntamento.
gv
(13 maggio 2019)