JCiak – Una nuova vita altrove
Andare lontano, solo per scoprire che non te ne sei mai andato. In uno strano gioco di rimandi, il conflitto israelo-palestinese riverbera ancora una volta sul grande schermo il tema dell’identità. Se l’israeliano Nadav Lapid aveva conquistato l’Orso d’oro a Berlino con il tormentato Synonimes, storia di un giovane che per cancellare nazionalità, identità, relazioni, vicende, linguaggio emigra a Parigi, con It Must Be Heaven il palestinese Elia Suleiman porta alla 72esima edizione festival di Cannes un altro viaggio alla ricerca di sé, questa volta in chiave di commedia.
Interpretato dallo stesso Suleiman, vincitore del premio della critica a Cannes per Intervento divino (2002), il film segue il viaggio di un palestinese deciso a darsi una patria alternativa. La sua ricerca si tramuta però in un’infinita commedia degli errori.
Per quanto lontano si spinga, da Parigi a New York, il protagonista non riesce a lasciarsi alle spalle il luogo da cui è partito e trova sempre qualcosa che glielo ricorda, in un surreale gioco di specchi che ogni expat conosce a perfezione. “E’ il film più divertente che ho fatto finora”, ha spiegato al New York Times il regista.
La promessa mancata di una nuova vita e il senso di spaesamento di Suleiman riecheggiano l’interrogativo cruciale di Lapid – fino a che punto possiamo staccarci dal nostro mondo, da ciò che ha fatto di noi quello che siamo, per ricostruirci e darci una nuova vita?
L’israeliano Synonimes, scriveva il direttore dei Cahiers du Cinéma Stéphane Delorme, è un film demolisce qualsiasi diktat sulle identità, che non accetta confini, con un personaggio che attraversa situazioni, luoghi, esperienze, senza mai accontentarsi di risposte pre-formulate, si adatta, non ha paura di nulla. “Avevamo bisogno di un regista straniero per scuoterci dal nostro torpore – continuava – Yoav impara la lingua, combatte con il linguaggio, percorre le strade senza mai riposare. È un guerriero nelle strade della capitale”.
Il protagonista di Suleiman sceglie invece di attraversare il mondo sul filo di un sorriso stralunato alla Jacques Tati. Le sue domande sono però le stesse e si giocano fra identità, appartenenza e scelta: una dialettica antica come il mondo che rilanciata da uno dei luoghi più travagliati del mondo assume un’urgenza bruciante.
Daniela Gross